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Riposi giornalieri della lavoratrice madre, possibile la rinuncia senza sanzioni

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, ha risposto a un recente interpello (23/2015) del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla possibile rinuncia dei riposi giornalieri da parte della lavoratrice madre, e la possibilità di fare dunque a meno delle potenziali sanzioni correlate. L’interpello …

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Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Generale per l’Attività Ispettiva, ha risposto a un recente interpello (23/2015) del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla possibile rinuncia dei riposi giornalieri da parte della lavoratrice madre, e la possibilità di fare dunque a meno delle potenziali sanzioni correlate.

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L’interpello è nato da una istanza da parte del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro, avanzata per conoscere il parere della Direzione generale dell’attività ispettiva del Ministero del Lavoro in merito alla corretta interpretazione dell’art. 39, D.Lgs. n. 151/2001 inerente la disciplina dei riposi giornalieri per la lavoratrice madre durante il primo anno di vita del bambino.

Come ricordato dalla risposta all’interpello, il Consiglio aveva richiesto se nelle ipotesi in cui la lavoratrice madre non intenda usufruire, spontaneamente e per proprie esigenze, dei permessi già richiesti al datore di lavoro ex art. 39 di cui sopra, possa trovare o meno applicazione nei confronti di quest’ultimo la sanzione contemplata dall’art. 46 del medesimo decreto legislativo.

Ebbene, al fine di rispondere in maniera esaustiva a tale istanza, e già acquisito il relativo parere da parte della Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro e delle Relazioni industriali e dell’Ufficio legislativo, il Ministero avvia il proprio riscontro ricordando come, in via preliminare, occorre muovere dalla lettera della disposizione ex art. 39 in virtù della quale “il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo e’ uno solo quando l’orario giornaliero di lavoro e’ inferiore a sei ore“.

Detto ciò, viene poi precisato che i periodi di riposo hanno la durata di un’ora ciascuno, e che vengono considerati ore lavorative agli effetti sia della durata che della retribuzione e comportano il diritto della lavoratrice madre di uscire dall’azienda.

Dunque, alla luce di ciò, è possibile evincere in maniera chiara che il diritto a fruire dei riposi menzionati abbia natura di “diritto potestativo”, ovvero della possibilità di usufruire di una possibilità e non di un obbligo. In altre parole, “il datore deve, infatti, consentire alla madre la fruizione dei permessi qualora la stessa presenti esplicita richiesta. Nello specifico, a differenza di quanto avviene nell’ipotesi di astensione obbligatoria per maternità, la lavoratrice madre può scegliere se esercitare o meno il proprio diritto, fruendo dei summenzionati riposi; nell’ipotesi in cui decida di esercitarlo e il datore di lavoro non le consenta il godimento dei periodi di riposo troverà applicazione la sanzione amministrativa pecuniaria stabilita dall’art. 46“.

In maniera differente, se la lavoratrice madre presenta una richiesta preventiva al datore di lavoro per poter godere dei permessi giornalieri e successivamente, in modo spontaneo e per proprie esigenze decide di non usufruirne per alcune giornate, il Ministero del Lavoro non ritiene ravvisabile la violazione dell’art. 39 e, di conseguenza, non potrà trovare applicazione la misura sanzionatoria ad essa collegata.

Naturalmente, conclude il Ministero, rimane collegata la possibilità, da parte degli organi di vigilanza, di poter effettuare eventuali verifiche in ordine alla spontaneità della rinuncia della lavoratrice circa il godimento dei permessi in questione (il rischio è infatti che la lavoratrice madre abbia subito evidenti pressioni per rinunciare a tale sua facoltà).

Proprio in riferimento a quest’ultimo punto, è opportuno che la rinuncia sia giustificata da ragioni che rispondano in modo inequivocabile a un concreto interesse della lavoratrice (come ad esempio la frequenza di un corso di formazione, e così via).

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