La pausa caffè è un piacevole momento di ristoro per tutti i lavoratori dipendenti ma… c’è un limite a tale abitudine? Oppure possiamo ricorrere alla pausa caffè ogni volta che vogliamo? In realtà, la Corte di Cassazione, con recente sentenza della quale andremo ad occuparci nelle prossime righe, è stata piuttosto chiara: se le pause per il caffè sono troppo frequenti, troppo lunghe o comunque in grado di rallentare in maniera significativa il proprio lavoro, allora possono costituire un motivo di licenziamento legittimo.
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Pause caffè non autorizzate
La sentenza n. 17065/2020 della Corte di Cassazione apporta un’interessante valutazione su un tema che probabilmente può riguardare molti dei nostri lettori che, in ufficio o fuori dall’ambito delle mura aziendali, hanno l’abitudine di ricorrere a una buona pausa ristoratrice a suon di caffè.
Per i giudici della Suprema Corte, infatti, con tale ordinanza si respinge il ricorso di una società operante nel settore dei trasporti contro la sentenza della Corte d’Appello che ha dichiarato illegittimo il provvedimento di licenziamento di un dipendente che, secondo il datore di lavoro, sarebbe stato responsabile di eccessive pause non autorizzate nello svolgimento della propria attività di autista di mezzi commerciali.
I giudici della Corte di Cassazione sostengono infatti che l’addebito che sarebbe stato contestato al dipendente, relativo alla numerosità delle soste effettuato, non può essere giudicato idoneo a giustificare il licenziamento sotto il profilo della proporzionalità, in relazione all’entità del comportamento prodotto dall’autista.
Per i giudici della Suprema Corte, infatti, l’addebito sarebbe lieve e, dunque, non sarebbe giusta causa del licenziamento. Inoltre, proseguono gli Ermellini, non sarebbero stati provati i gravi effetti delle soste eccessive lamentate dall’azienda nella lettera di licenziamento, come ad esempio i pedaggi autostradali extra, o il ritardo nello smistamento del materiale, e così via.
Attenzione, però. Questo non significa che il lavoratore possa prendere quanti caffè desidera. E sono state altre sentenze della stessa Corte di Cassazione a suggerirlo in modo molto chiaro.
Quando si può licenziare per un caffè di troppo
Un esempio di licenziamento per qualche “pausa” di troppo lo fornì qualche fanno fa la sentenza della Cassazione n. 4905/2011, respingendo il ricorso di un dipendente che nel corso di un servizio di perlustrazione aveva interrotto il proprio servizio di vigilanza, abbandonando l’itinerario di servizio indicato, proprio per una sosta compiuta a casa, per parlare con la moglie con la quale si stava separando.
In quel caso il licenziamento fu legittimo. Per i giudici, infatti, quel tipo di pausa non poteva essere comparata a quella effettuabile per poter prendere un caffè, considerato che in questo ultimo caso la pausa avrebbe almeno lo scopo di potenziare le proprie energie psico-fisiche, per poter eseguire al meglio il lavoro.
Abbandonare il posto di lavoro per prendere il caffè al bar
Un altro esempio di licenziamento per una pausa non autorizzata è stata quella valutata con la sentenza n. 7819/2013 della Corte di Cassazione, che aveva confermato il licenziamento di un bancario, impiegato in cassa, che aveva abbandonato il posto di lavoro per andare a prendere un caffè al bar nonostante in fila vi fossero 15 clienti.
Il licenziamento fu poi impugnato dal cassiere, dando vita a un lungo procedimento terminato proprio in sede di Cassazione. Qui il bancario lamentò l’ingiusto licenziamento, affermando che al momento del suo allontanamento dal luogo di lavoro erano presenti più casse operanti. Di conseguenza, a detta del bancario questo atteggiamento aveva determinato solamente un lieve ritardo da parte delle operazioni di cassa. Inoltre, il bancario sottolineava come per prassi un allontanamento di questo tipo non richiedeva necessariamente un permesso. Per la Cassazione, però, queste giustificazioni non furono sufficienti per poter accogliere il ricorso del lavoratore, al quale fu pertanto confermata la sanzione del licenziamento per giusta causa.
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