In dieci anni nessun governo è riuscito a mettere seriamente mano ad una questione vitale, il superamento della Riforma Fornero, forse tra le più contestate della recente storia d’Italia. Nonostante l’ex ministro difenda ancora adesso a spada tratta quella riforma, è un fatto che quest’ultima abbia allontanato anche di molto l’età pensionabile. Abbassato inoltre gli importi (sistema contributivo) e creato ai tempi anche l’enorme problema ad ondate degli esodati, ovvero persone fuoriuscite dal lavoro con non ancora i requisiti per la pensione, detto in soldoni. Di “riformare la riforma” se ne parla da quando tale riforma esiste. Ad un gran numero di persone la Fornero non è mai andata giù, nonostante il fatto fosse stata giustificata con la molto precaria situazione italiana dei tempi.
Però, riformare un sistema pensionistico al ribasso che già prima non permetteva assegni congrui per molti, non è stata certo una grande idea, in quanto il rischio è stato quello di creare generazioni di persone molto povere. E per giunta nella fase della vita in cui di solito si ha più bisogno di soldi per questioni che non riguardano il divertimento. L’idea di prendersela con i pensionati in Italia effettivamente non è nuova. Ci sono ad esempio stati vari blocchi delle rivalutazioni di pensioni di individui che si sono ritirati a 50 anni. Queste pensioni hanno quindi sempre perso valore, cioè potere d’acquisto. E non ne si capisce la ragione, anche perché bisogna comprendere che spesso questi cosiddetti baby pensionati sono stati frutto di accordi aziendali indipendenti dalla loro volontà, gestiti da sindacati che sull’onda giovanilista hanno fatto fuoriuscire dal lavoro gente ancora perfettamente in grado di lavorare magari per un paio di decadi. Fregati da una parte e dall’altra insomma, e per di più additati come quelli che pesano sul sistema pensionistico da qualcuno che probabilmente non ha ben chiara tutta la storia. Insomma, il problema è sì la Fornero, ma la questione c’era pure prima ed è sempre stata prettamente ideologica. Forse anche la contestatissima riforma è stata un po’ frutto di quell’ideologia lì.
Va spiegato che più si abbassa il potere d’acquisto, meno l’economia girerà. E meno l’economia girerà più il paese starà peggio. L’Italia è ancora quella nazione che ha la pensione minima al massimo a 600 euro (tra l’altro da poco) e le bollette che magari sono di 300, in un contesto dove continuano ad esserci rincari di vario genere. Ovviamente tutto questo non è colpa dell’attuale governo e nemmeno di quello prima. La situazione è figlia di una incredibile indolenza di decenni di governi e di una sorta di almeno apparente mancanza di volontà nel far crescere le pensioni. Anzi la tendenza talvolta sembra inspiegabilmente contraria (cioè si tenta di abbassarle). La storia degli “immigrati che ci pagano le pensioni” e/o dei “giovani che pagano le pensioni ai vecchi” l’abbiamo sentita mille volte. Però il problema è che nonostante tutti sembra paghino la pensione ad altri, che invece, va detto, se la sono pagata da soli versando 40 anni di contributi, tale pensione non aumenta comunque mai. Quindi qualcuno paga la pensione di qualcun altro che se però l’è già pagata, ma lo stesso l’assegno rimane quando va bene uguale, cioè perlopiù piuttosto basso.
Le proposte per superare la Fornero
L’indolenza di cui sopra si esplica anche nel (non) voler superare la Riforma Fornero. Come accennato, è da quando esiste che i vari governi succedutisi dicono di volerla abolire, ma ancora nessuno lo ha fatto. Anche il governo in carica sta attualmente un po’ tergiversando. In ogni caso, in molti hanno proposto sistemi alternativi (quota 101-102-103, opzione donna, scivoli vari, l’isopensione), ma nessuno ha mai concretamente messo mano all’articolo di legge. Quali sono però le possibilità per superare la Riforma Fornero? Attualmente le proposte sembrano essere tre: la prima è la cosiddetta quota 41. Cioè 41 anni di contributi. Attualmente per gli uomini l’età pensionabile arriva dopo 42 anni e 10 mesi, mentre per le donne dopo 41 anni e 10 mesi. Ma è un sistema che incredibilmente è in crescendo (ovvero l’età pensionabile fondamentalmente aumenterebbe, lasciando la legge così com’è). Una seconda via è quella di stabilire una doppia quota a 62 anni di età, con 35 anni di contributi calcolati sul contributivo. Una terza ipotesi è quella che riguarda il poter andare in pensione a 62 o 63 anni con venti anni di contributi calcolati con il contributivo fino a 67, per poi ricalcolare l’assegno con il sistema retributivo.
Come spiegato, non c’è niente di sicuro, si tratta per ora di mere ipotesi che potrebbero anche cambiare. Quel che però è importante è che finalmente cambi l’ideologia che vuole i pensionati sempre più vecchi e sempre più poveri in nome di una sorta di guerra generazionale che non ha alcun senso se non quello di tenere gli assegni bassi sia per i pensionati di oggi che per quelli di domani, cosa che in pochi purtroppo sembrano capire.
La pensione integrativa
Uno dei modi di ovviare al problema delle pensioni basse, Fornero o no, è quello di percorrere una via privata. Ovvero quello di accedere negli anni di contribuzione ad una forma di pensione aggiuntiva, o per così dire integrativa. Questa è indubbiamente una buona soluzione, ma va anche detto che non è alla portata di tutti, per varie ragioni. Si tratta sostanzialmente di “cedere” una quota dello stipendio ad un istituto privato, che a sua volta la mette via per tutti gli anni di versamenti, facendo fruttare poi la cifra, in modo da restituirla durante gli anni della pensione. La cifra restituita va ovviamente, appunto, ad integrare l’assegno statale, qualunque esso sia. Ci sono però alcuni problemi: il primo e quello più importante è quello che bisogna avere uno stipendio abbastanza alto da potersi permettere di sopravvivere anche privandosi della cifra dedicata alla pensione integrativa. Quindi se si ha uno stipendio da 1000 euro, vivere con 800 o 700 diventa piuttosto complesso. Questa è la solita storia che vede chi ha meno soldi avere anche molto minori possibilità di uscire dal problema. E’ ovvio che sia così, ma sotto una certa soglia non si dovrebbe mai scendere. Un altro problema è quello che riguarda la sicurezza dello stipendio.
E’ chiaro che avere un contratto a tempo determinato non permette o quasi la possibilità di costruirsi una pensione integrativa, quindi va detto che non è una soluzione per tutti, anche se resta in ogni caso un’ottima possibilità. Un terzo problema è quello che riguarda la scelta dell’istituto. Qui bisogna stare molto attenti, è necessario scegliere un partner molto affidabile, che sia in grado di durare nel tempo. Versare soldi ad un ente privato per vent’anni o più implica che questo ente debba essere straordinariamente solido, con la possibilità insomma di resistere anche a grosse tempeste finanziarie, in modo da poter proteggere i soldi versati per tutto il tempo necessario. La scelta di a chi rivolgersi insomma, è fondamentale. Fatte queste doverose premesse, è palese che la pensione integrativa, per le persone che hanno la possibilità di accedervi, sia un’ottima possibilità per avere una volta ritiratisi dal lavoro un assegno più pesante di quello statale. Certo che è però un qualcosa a cui bisogna pensare molto bene prima di fare il passo più lungo della gamba. Il voler migliorare la propria situazione economica una vota lasciato il lavoro è cosa sacrosanta, ma è comunque necessario stare attenti a non crearsi problemi significativi di vita durante il periodo di attività lavorativa. In sostanza è utile accedere ad una pensione integrativa solamente se si ha la concreta possibilità di versare una cifra (significativa o meno che sia) tutti i mesi senza che questo impatti sul tenore di vita del momento.
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