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“Tu incinta? Ma non sei lesbica?” Autista licenziato

Un autista è stato licenziato a causa di alcune sue frasi ritenute discriminatorie verso una collega.

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La Corte di Cassazione con la sentenza 7029 della sezione lavoro ha rimandato alla Corte d’Appello la decisione sul licenziamento di un autista che aveva pronunciato frasi ritenute discriminatorie nei confronti di una collega. L’autista era stato licenziato ma aveva portato il caso in tribunale, dove, nel secondo grado di merito, ovvero la Corte d’Appello la condotta era stata giudicata come “inurbana”, ovvero maleducata, ma era stato ritenuto eccessivo il licenziamento, così l’azienda che aveva licenziato il lavoratore, in tronco e senza indennità era stata costretta a versare venti mensilità. Ma la Corte di Cassazione ha ribaltato il giudizio, giudicando la condotta di cui sopra più grave rispetto all’essere semplicemente inurbana, in quanto lesiva di diritti fondamentali ormai acquisiti.

Secondo gli Ermellini infatti: “È innegabile il portato dell’evoluzione della società negli ultimi decenni e l’acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale, pertanto l’intrusione in tale sfera con modalità di scherno non è solo una condotta inurbana”. La donna ritenuta vittima di discriminazione aveva partorito da poco due gemelli e le frasi del collega non le erano andate giù. Aveva così presentato un esposto all’azienda, che aveva a sua volta deciso di licenziare in tronco il dipendente protagonista delle frasi, per aver violato i valori aziendali, giudicando appunto il comportamento come “gravemente lesivo dei principi del Codice etico aziendale e delle regole di civile convivenza”. Ma nel 2020 la Corte d’Appello di Bologna aveva ritenuto la decisione dell’azienda sostanzialmente esagerata ed aveva quindi deciso per le venti mensilità da corrispondere all’ex dipendente.

Ma la Cassazione ha ritenuto diversamente: “La valutazione del giudice di merito nel ricondurre a mero comportamento inurbano la condotta non è conforme ai valori presenti nella realtà sociale ed ai principi dell’ordinamento”. Di conseguenza ora la decisione ritorna alla Corte d’Appello, che dovrà valutare nuovamente cosa fare. Questo perché la Suprema Corte, che è tecnicamente giudice di legittimità, non ha deciso di esprimersi sul caso, ma ha valutato sostanzialmente che ci sia stato un errore nello svolgimento del processo, così ha ordinato di ripetere il grado di giudizio.

Occhio a ciò che si dice

Visioni come quella della Cassazione impongono di stare molto attenti a ciò che si dice sul lavoro. Sono infatti considerate discriminazioni anche le molestie, ovvero quei “comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Il pericolo maggiore deriva probabilmente dallo scherzo. Sul lavoro è facile fare battute anche pesanti tra colleghi ed il confine tra quel che si può fare e quel che non è permesso è spesso molto, ma molto sottile. Soprattutto, diventa soggettivo. Se per qualcuno una battuta sulla sessualità è semplicemente una stupidata tra colleghi, qualcun altro può rimanerci male, soffrirne, e soffrirne a tal punto da intentare una causa.

Ciò ovviamente restringe il campo di quel che si può dire e mostra un mondo con limiti maggiori rispetto al passato. Ma al contempo protegge i diritti fondamentali e più privati delle persone che, bisogna pensare, più pensando di essere fragili, più risultano sensibili al tema. E’ quindi buona norma, se si scherza, capire con chi si possa fare e con chi invece è meglio lasciar perdere. Soprattutto una regola d’oro è quella di non andarci giù pesante sin da subito, in modo da non risultare in nessun caso offensivi e testare nel tempo dove possa arrivare lo scherzo con le persone con le quali si ha a che fare. Questo per non incorrere in spiacevoli sorprese, anche legali, ma più ancora per evitare di arrecare dispiacere a colleghi di cui non si conosce esattamente la sensibilità e più in generale, la vita.

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