E chi lo ha detto che i leader devono sapere sempre tutto e pensare ad ogni cosa? Per andare lontano, occorre puntare sulle potenzialità degli altri e non avere paura di sbagliare
Preferireste lavorare in un’azienda dove le cose non cambiano mai o dove ci si mette costantemente in discussione? Limitarvi a svolgere il vostro lavoro o far parte di un team che viene coinvolto nelle decisioni che contano? Rispondere a questi quesiti potrebbe aiutarvi a comprendere qual’è la vostra idea di leadership. E quali sono i tratti che, a vostro parere, dovrebbe avere un buon capo. Sia ben chiaro, non vogliamo giudicare nessuno: alcune persone sentono il fisiologico bisogno di essere costantemente istruite su quello che devono fare e non vogliono assumersi carichi di responsabilità aggiuntivi. Non vanno condannate, ma semmai aggiornate. La loro idea di leadership si riferisce a uno schema superato – fatto di ruoli statici e immutabili – che, a noi sembra, non esiste più (o che, almeno, non è più quello dominante).
Indice
4 falsi miti sui leader
Per questo, abbiamo pensato di sfatare alcuni falsi miti a riguardo e di fornire qualche spunto di riflessione a chi pensa che essere un leader significhi manovrare e gestire ogni cosa “in solitaria”.
I leader amano lavorare da soli
E’ un falso mito strettamente collegato a quello successivo. Chi prende le decisioni “in solitaria”, senza coinvolgere o interpellare nessuno, non è un vero leader, ma un autoritario che rischia di non andare lontano. Il leader deve avere la piena consapevolezza di quello che i suoi dipendenti fanno e una robusta percezione di quello che pensano. Solo rimanendo costantemente connesso ai loro bisogni, alle loro attitudini e alle loro aspirazioni, potrà infatti sperare di operare per il meglio. E di valorizzare al massimo il potenziale di cui dispone. “La leadership si basa sull’ispirazione, non sulla capacità di dominare gli altri; sulla collaborazione, non sull’intimidazione” (William Arthur Ward).
I leader pensano a tutto
E’ vero: essere un leader significa essere il responsabile delle attività che vengono svolte all’interno di un’azienda e delle persone pagate per portare a termine gli incarichi assegnati; ma pensare che alla “cabina di comando” ci sia un deus ex machina, capace di gestire ogni cosa, è una mera ingenuità. Il leader sa bene che non può tenere le redini di ogni singolo progetto e spinge i suoi sottoposti a responsabilizzarsi a loro volta. E a guadagnare un crescente grado di autonomia, che deve essere supportato dalle capacità dimostrate sul campo. Sarà suo compito, semmai, supervisionare tutto e controllare che ogni cosa sia stata fatta in maniera opportuna. “Per quanto possa sembrare strano, i grandi leader acquistano autorità delegandola” (James B. Stockdale).
I leader sanno sempre tutto e non sbagliano mai
Non c’è niente di più irritante che lavorare alle dipendenze di un capo che pensa di avere tutte le risposte in tasca. Essere un leader vuol dire, al contrario, porsi continue domande, mettersi costantemente in discussione e riconoscere i propri limiti. I veri capi non faticano ad interpellare chi ne sa più di loro o a raccogliere le opinioni dei loro collaboratori più fidati, ma al momento giusto, si assumono la responsabilità delle decisioni che prendono. Consapevoli come sono che ogni grande cambiamento reca con sé l’insidia del fallimento. “Un leader deve essere abbastanza grande per ammettere i suoi errori, abbastanza intelligente per trarre profitto da loro e abbastanza forte per correggerli” (John C. Maxwel).
Leader si nasce, non si diventa
Leader si nasce o si diventa? L’idea che esistano persone fisiologicamente votate al “comando” convince solo in parte. In linea teorica e fatte le dovute eccezioni, possiamo anzi affermare che tutti possono legittimamente aspirare a diventare leader (per lo meno, di loro stessi). Basta applicarsi e maturare esperienza, seguire l’insegnamento dei maestri e sperimentare sul campo. E non convincersi che il cognome altisonante o il titolo blasonato basti ad avere la strada spianata. “La leadership è azione, non posizione” (Donald H. McGannon).
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