Le recenti pagine di cronaca sono state alimentate da scandali a raffica nei Tribunali e nelle aule di giustizia in generale: un Gip in Puglia arrestato perché, dietro compensi, aggiustava processi; un PM indagato per aver raccomandato un’amica; un giudice scroccone costretto a dimettersi, ecc. Mi chiedo se sia soltanto frutto del caso, quest’abbondanza di situazioni border line venute fuori tutte insieme e proprio ora. O se, invece, possiamo considerarle la detonazione naturale della “bomba Palamara”. E’ molto più probabile che sia vera la seconda ipotesi.
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L’effetto Palamara e la riorganizzazione della magistratura
Quel che emerge, poi, è che non è solo una questione di potere e spartizione di cariche, ma anche molto spesso di denaro. Del resto, i magistrati, a cui è affidato il compito forse più importante (e oneroso) per il funzionamento della società, derivante direttamente dalla legge, sono uomini e donne come tutti noi; e come noi avvezzi a provare sentimenti positivi e negativi, connotati da vizi e virtù propri (e ineludibili) dell’essere umano. E’ un’utopia considerare la magistratura come una “macchina”, magari perfetta, quanto più è necessario ammettere, per trovare una quadra, che essa sia composta prima di tutto da uomini e donne, cui va riconosciuto il diritto (o calcolata la possibilità) che vengano commessi errori.
Oggi la vicenda Palamara, nel bene e nel male, ci ha dato una possibilità unica: quella di mettere mano, una volta per tutte, alla seria riorganizzazione della magistratura, eliminando delle storture e delle discrasie divenute palesi dopo lo scoppio della bomba. L’opportunità è unica, proprio perché oggi abbiamo una consapevolezza del funzionamento di certi meccanismi e possiamo ridisegnare un sistema che tenti (quantomeno) di porvi un freno. E questo non era possibile o immaginabile, soltanto qualche mese fa.
La revisione del CMS
Ma facciamo qualche esempio concreto. Ritengo che il punto di partenza sia da individuare in una revisione dell’organo di autogoverno dei magistrati, cioè il CSM; in primis, sottolineo che dovrebbero essere rappresentati anche i giudici onorari, che in Italia sono 6000 a fronte di 9000 giudici togati.
Non può passare inosservato il fatto che, se nei Tribunali i processi camminano, ciò avviene anche grazie ai giudici onorari, che smaltiscono centinaia di fascicoli, emettendo centinaia di sentenze all’anno. E’ insensato che un ingranaggio della giustizia così presente venga ignorato nell’ambito del massimo organo di autogoverno (al cui interno è invece presente un’ampia rappresentanza politica, ad esempio).
La realtà dei giudici onorari è pressochè ignorata dalle istituzioni, compresa quelle interne alla categoria, e di riflesso è praticamente sconosciuta ai cittadini, che non sanno, ad esempio, quanto sia irrisoria la paga riconosciuta a tali organi (niente a che vedere rispetto alle retribuzioni riconosciute alla magistratura togata).
La revisione della capacità produttiva degli organi di giustizia
Un altro punto da rivedere, a mio parere, è necessariamente legato alla produttività, ovvero alla capacità della macchina della giustizia di fare e definire i processi, ad oggi caratterizzati da tempi biblici. Non sarebbe forse giusto prevedere di misurare, così come avviene nella pubblica amministrazione, la capacità produttiva degli organi di giustizia, con sistemi di premialità che gratifichino chi fa il proprio lavoro e, del pari, sanzionino chi si esime dal farlo (andando a rilento)?
Oltretutto, fa discutere il meccanismo consolidato di evitare procedimenti utilizzando la formula delle “dimissioni” dalla magistratura. La meritocrazia è ovunque, e ovunque trova consensi. Non capisco perché questo non possa succedere anche in riferimento alla giustizia.
L’avanzamento delle carriere
Altro punto dolente, sempre secondo chi scrive, è il sistema di avanzamento delle carriere, che procede su criteri di anzianità. Anche qui avrebbe senso inserire criteri meritocratici, che non prescindano dalle capacità, dalle competenze e dai risultati raggiunti, piuttosto che sulla mera conta degli anni di servizio. Occorre riscoprire, come già avviene nella pubblica amministrazione, la meritocrazia..
Altro consiglio che mi sento di dare, quello di monitorare lo status psico-fisico di una categoria soggetta ad un così usurante impegno: dovrebbe essere stabilita anche una visita fisica e infine, ma non ultima per importanza, eliminare questo rapporto di osmosi tra magistratura e politica, alimentato dal fatto che quando un magistrato decide di entrare in politica, possa ritornare ad esercitare la giustizia, alla fine del proprio mandato. La magistratura non può essere una porta girevole, dove si entra e si esce a piacimento (peraltro transitando, nel frattempo, nei salotti della politica).
Un’opportunità di riforma totate
Pensando di nuovo a Palamara, che come dicevo all’inizio ci ha “offerto” questa opportunità di riforma totale, mi torna alla mente uno statista apprezzato e stimato (fino ad un certo momento) da tutto il mondo come Bettino Craxi. Ho vissuto quegli anni e mi ricordo tutti i questuanti che facevano la fila davanti alla porta di Craxi in via del Corso, per poi trasformarsi subito dopo, al tempo di Tangentopoli, come strenui accusatori e diventare vergognosi lanciatori di monetine allo stesso Craxi, all’uscita dall’albergo Raphael. Così come è avvenuto per Palamara, dapprima riverito quando i suoi colleghi, giustamente o ingiustamente, meritatamente o immeritatamente, chiedevano nomine, e poi, all’uscita dello scandalo, si sono trasformati in decisi inquisitori e lo hanno espulso dall’associazione magistrati e dalla magistratura. Strana l’Italia, patria di inventori, navigatori, poeti ma anche di voltagabbana professionali; la storia, per certi versi, si è ripetuta di recente con un altro Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, su cui vertono (e vertevano) centinaia di costosi processi, giunti sino ad affidarlo ai servizi sociali, reo quest’ultimo di essersi eretto a baluardo di contrasto al comunismo e alle sinistre.
Ed ora approfittando dell’opportunità “regalataci” da Palamara, vorrei che tutti, dai parlamentari fino ai giudici, si battessero con forza il petto e non si lasciassero scappare un’ultima occasione di riscatto e riorganizzazione della Magistratura (e quindi della democrazia stessa). Palamara, strumento e vittima, non è, non può e non deve essere il capro espiatorio di un complesso sistema criminoso. L’ennesima scusa per lavarsene le mani e riprendere tutto come prima.
Occorre ridare credibilità all’Italia e offrire un esempio ai giovani.
A questo punto, provocatoriamente inviterei chi di dovere a nominare Palamara consulente particolare del Ministero della Giustizia.
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