In Italia il lavoro (forse) c’è, ma mancano le competenze: ecco le ultime valuzioni del Corriere della Sera e del CNEL.
Con il reddito di cittadinanza in arrivo, e con le conseguenti lenti di ingrandimento da puntare sul complesso sistema di recruitment in corso di sviluppo, c’è una domanda che in questi giorni sta tornando prepotentemente alla ribalta: in Italia c’è davvero un mercato del lavoro prospero e dinamico? La risposta a tale domanda non è certamente sintetizzabile, ma non sfugge che – come sottolineava recentemente sul tema Il Corriere della Sera – ci siano dei casi in cui i posti di lavoro ci sono, ma manca il personale.
I numeri del Corriere della Sera
Per poter elaborare i contorni di questo fenomeno, il quotidiano ha cercato di formalizzare qualche numero. E, secondo quanto scrive Ferruccio de Bortoli nell’inchiesta contenuta nell’inserto L’Economia, su circa 200 mila posizioni qualificate stimate da Confindustria per il triennio 2019-2021, una su tre rischia di rimanere vuota. Ma per quale motivo? Sempre secondo le elaborazioni compiute dal quotidiano, il primo problema è legato alla mancanza di talenti, poiché sempre più scarse sono le competenze tecnico-scientifiche diffuse. E così capita di sovente che le aziende finiscano con il rivolgersi agli stranieri. La conseguenza diretta è un collegamento tra tale scenario, e quello imminente del reddito di cittadinanza per cui – scrive ancora de Bortoli – sarebbero necessarie delle iniziative di politica attiva del lavoro che inducano alla formazione e incrementino il livello di responsabilizzazione personale.
L’opinione del CNEL
Le statistiche elaborate dal giornale non sono peraltro una novità. Già qualche settimana fa il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro parlava della disponibilità, nel nostro Paese, di circa 100 mila posti di lavoro che non possono essere occupati per mancanza di candidati idonei. Un problema che all’epoca il presidente del CNEL, Tiziano Treu, additò principalmente alla carenza di specifiche competenze, e al fatto che l’Italia ha accumulato nel corso dei decenni dei gravi ritardi sull’innovazione. A sua volta, il tutto conduce a una laconica considerazione: l’Italia non investe a sufficiente nella formazione dei lavoratori e degli imprenditori.
A ciò si aggiunge – rifletteva ancora il CNEL – che manca un adeguato orientamento nelle scuole che non preparano i giovani a rispondere a ciò che principalmente oggi il mercato del lavoro domanda: tendenza all’innovazione e competenze specifiche. Sebbene sia un argomento ampio e complesso, uno dei problemi alla base della mancanza di posti di lavoro potrebbe dunque non solamente essere una carenza “quantitativa” di offerta, quanto anche il fatto che il mondo del lavoro domanda figure differenti da quelle che il sistema scolastico e universitario propone, ancora troppo tradizionale e troppo poco improntato sull’innovazione.
Sarebbe pertanto opportuno orientare meglio i giovani nel loro percorso di formazione, considerato che l’economia digitale (per citare una delle tante locomotive) sarà sempre più una realtà di riferimento. Ricollegando il tutto, ancora una volta, al reddito di cittadinanza, non mancano gli spunti utili: nelle sue considerazioni Treu sottolineava che una delle carenze del “sistema Italia” è la mancanza di un valido servizio pubblico per l’impiego e per le politiche attive, tanto che se in Italia sono impiegati circa 9 mila professionisti nei centri per l’impiego, i tedeschi hanno oltre 100 mila persone competenti.
Per il CNEL, insomma, in Italia si sprecano troppi fondi per la cassa integrazione, mentre si dovrebbe investire di più nei centri. Sembrerebbe dunque ben orientata la volontà di reclutare 10 mila nuove figure professionali che possano occuparsi di snellire la macchina burocratica dei centri per l’impiego. Quanto poi tale campagna di assunzione pro-Navigator risulti essere in grado di generare l’efficienza e i valori aggiunti desiderati è, ovviamente, tutto da verificare.
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