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Indennità di maternità: va garantito lo stesso tenore di vita alla dipendente. La sentenza

La Corte di Cassazione torna ad esprimersi sull’inennità di maternità e sui criteri di calcolo da assumere.

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Con la recente sentenza n. 20673/2020, la Corte di Cassazione si è espressa in modo molto chiaro sulla natura dell’indennità di maternità, accogliendo il ricorso di una lavoratrice che sosteneva di aver ricevuto un’indennità troppo bassa. Con l’occasione di tale ordinanza, la Suprema Corte ha dunque evidenziato come la misura dell’indennità di maternità deve essere corrisposta nell’80% della retribuzione globale media giornaliera, in maniera tale che la lavoratrice, anche durante la propria dolce attesa, possa assicurarsi lo stesso tenore di vita di quando lavora.

Il caso

indennità di maternità

Come abbiamo sopra anticipato, il caso trae origine dal ricorso di una lavoratrice, che lamentava di aver ricevuto un’indennità di maternità calcolata non in base alla retribuzione globale media giornaliera, come previsto dal d. lgs. 151/2001, bensì tenendo in considerazione come riferimento la remunerazione al netto del prelievo fiscale e previdenziale, e conteggiando l’indennità di volo (la ricorrente è una dipendente di una compagnia aerea) nella misura del 50%. In primo e in secondo grado i giudici danno ragione alla lavoratrice, condannando così l’Inail a corrispondere l’indennità nella misura effettivamente richiesta dalla dipendente, e pari all’80% della retribuzione globale media giornaliera.

Il ricorso dell’Inail

Dopo esser rimasta soccombente nei primi due gradi di giudizio, all’Inail non rimane altra possibilità che ricorrere in Cassazione, sollevando come motivo sia l’errata ricostruzione normativa che i giudici di merito avrebbero effettuato, e portando dunque come validi i propri conteggi sull’indennità di maternità, e sia l’errata posizione della Corte, che avrebbe ravvisato nella corresponsione di tale livello di indennità una  discriminazione compiuta ai danni della lavoratrice.

L’indennità di maternità, la Sentenza

Dopo aver esaminato il caso, la Corte di Cassazione si esprime in favore della lavoratrice rigettando così il ricorso dell’Inail. Gli Ermellini esordiscono, nelle proprie motivazioni, affermando di aver già trattato la questione più volte in passato, e sottolineando come l’art. 22 del d.lgs. n. 151/2001 disciplina il trattamento economico e normativo del congedo di maternità, stabilendo che sia pari all’80% della retribuzione, e che l’indennità stessa sia corrisposta con gli stessi criteri che sono stabiliti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie.

Ancora, i giudici della Suprema Corte sottolineano come per quanto concerne le determinazioni del trattamento economico di cui all’indennità  di maternità, trovano accoglimento le posizioni della lavoratrice, secondo cui la retribuzione da assumere come base di riferimento per il calcolo dell’indennità deve essere la retribuzione media globale giornaliera, intendendo per tale quella che si può ottenere dividendo per 30 l’importo totale della retribuzione del mese precedente a quello in cui ha avuto inizio il congedo. Su tale base bisognerà poi calcolare la misura dell’80%, che è la misura necessaria – per le valutazioni della Cassazione – affinché la lavoratrice in gravidanza non subisca alterazioni in peius del proprio tenore di vita.

L’ordinanza rammenta poi che sulla base dei dettati costituzionali e della normativa europea in vigore, la tutela della maternità è utile per poter favorire l’occupazione femminile, e di conseguenza ha degli effetti sicuramente positivi sullo stato di salute generale dell’economia e sul contenimento del rischio di povertà economica per le famiglie.

In riferimento a quanto sopra esposto, risulta pertanto chiaro per quali motivi la Corte di Cassazione abbia scelto di respingere il ricorso dell’Inail, accogliendo invece la posizione della lavoratrice, la quale ha ben diritto a ricevere un’indennità di maternità nella misura pari all’80% della retribuzione globale media, calcolata secondo i criteri di cui sopra.

Una sentenza, quella degli Ermellini, sopra riassunta, che non apporta particolari innovazioni rispetto all’orientamento già emerso più volte, ma che contribuisce a chiarire in modo ancora più trasparente la posizione della giurisprudenza in questo delicato e importante ambito di assistenza alle lavoratrici in gravidanza.

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