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Lavoro, l’intelligenza artificiale è un pericolo o un’opportunità?

L’intelligenza artificiale sta per cambiare il mercato del lavoro: ma è un’opportunità o un pericolo? E come poterla gestire? Vediamolo insieme

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L’intelligenza artificiale è un pericolo o un’opportunità per il mondo del lavoro in Europa e nel resto del mondo? La risposta è, probabilmente, nel centro. Se infatti è pur vero che l’avvento dell’intelligenza artificiale potrebbe contrarre in maniera non irrilevante il lavoro umano in moltissime professioni, e concentrare dunque le prospettive di crescita in nicchie più ristrette, è anche vero che proprio all’interno di tali aree occupazionali (la cui ampiezza è tutta da accertare) potrebbero celarsi incredibili occasioni di sviluppo personale e professionale.

intelligenza artificiale

La necessità di sviluppare nuove competenze

A soffermarsi su tale tema – che ha fatto molto discutere, sta facendo discutere e, probabilmente, farà ancor più discutere nel prossimo futuro – è un gruppo di economisti del MIT, secondo cui il principale problema sta nel fatto che ci sono poche professionalità sul mercato, in grado da fungere da “collo di bottiglia” all’innovazione e alla generazione di nuovi valori in questo contesto di crescente diffusione dell’intelligenza artificiale.

Insomma, per gli economisti del MIT, tra cui Eric Brynjolffson e Daron Acemoglu, bisognerebbe poter disporre di percorsi formativi in grado di far emergere delle vere e proprie eccellenze, che potrebbero fungere da leva propulsiva per un più coerente (e imprevedibile!) sviluppo del contesto nel quale ci stiamo faticosamente avviando. Certo è che, ferma restando l’evidente necessità di nuove genialità, sorge il conseguente quesito: come poter “creare” i geni?

Siamo sicuri che sia il cavallo giusto su cui puntare?

Come rammentava il quotidiano Il Corriere della Sera interrogandosi sul tema, e citando le riflessioni di uno storico dell’economia come Paul David, non è detto che questo sia il cavallo giusto su cui puntare. D’altronde, la diffusione dell’elettricità o dei personal computer è giunta decenni dopo le invenzioni iniziali, ed è stata determinata in gran parte dall’aumento della capacità del livello medio di intervento (come gli ingegneri). Insomma, i geni hanno prodotto l’idea e i prototipi, ma sono poi stati i livelli medi a migliorare e applicare alla vita di tutti i giorni (e ai contesti produttivi) le loro intuizioni.

Ecco dunque che si può giungere alla riflessione (forse) più concreta: bene l’intelligenza artificiale e le sue infinite opportunità di migliorare le nostre vite o la nostra produttività al lavoro, ma attenzione a non sottovalutare l’importanza che manager o tecnici debbano rivestire nel poter condurre al meglio tale processo.

Se infatti è vero che l’AI può automatizzare molte funzioni oggi demandate ai tecnici e agli ingegneri, e che le macchine possono imparare dai loro utenti, è anche vero che la strada da preferire sembrerebbe essere quella di una piena cooperazione, e non di una contrapposizione.

In tale ambito, numerose sembrano essere le professioni che, insieme all’intelligenza artificiale e alle macchine che si baseranno su questa tecnologia, potranno occuparsi di gestire le organizzazioni, la salute e gli altri aspetti di cui si occupano i sistemi di AI. Dagli avvocati ai dottori, dai manager agli analisti, le professionalità richieste da questa fase evolutiva non dovrebbero certo mancare, soprattutto nella prima fase.

Iniziare dalla scuola dell’obbligo

Lo stesso articolo del Corriere invita dunque a stimolare la formazione e la sperimentazione il prima possibile, magari seguendo le best practices che si stanno sviluppando (ancora una volta) nel Settentrione del Continente, con il governo finlandese che ha condotto un progetto di insegnamento dell’intelligenza artificiale all’1% della popolazione, educando così più di 55 mila persone negli ultimi due anni.

E in Italia? Partire dalla scuola dell’obbligo non è affatto una cattiva idea, anzi. Ma siamo sicuri che arriveremo in tempo a sviluppare un corretto approccio, prima che occorra importare dall’estero nuove professionalità in questo ambito?

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