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Le 10 parole inglesi più utilizzate nel lavoro

Il sentore è che certi capi si prendano più sul serio se lo dicono in inglese. Ma non fatevi abbindolare: di certi forestierismi possiamo tranquillamente fare a meno

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Fino a qualche tempo fa, i nostri nonni faticavano a comprendere esattamente il lavoro che svolgevamo. Parlare di marketing o di public relation generava in loro un certo senso di spaesamento che li spingeva a domandarsi se facessimo qualcosa di realmente concreto per guadagnarci da vivere. Questo perché alcune parole straniere – entrate di prepotenza nel nostro vocabolario quotidiano – hanno colto impreparati i meno giovani creando una certa confusione. Sia ben chiaro, il nostro non è un ragionamento da puristi della lingua: certi forestierismi ci hanno anzi salvato la vita (si pensi alla difficoltà di tradurre termini come computer o mouse), ma altri hanno soppiantato – a volte in maniera del tutto ingiustificata – i corrispettivi italiani. E’ accaduto anche al lavoro dove le parole inglesi circolano ormai con una certa frequenza. 

Le 10 parole inglesi più utilizzate al lavoro

Abbiamo selezionato 10 (le più usate) parole inglesi chiedendoci se fossero davvero indispensabili. A quale conclusione siamo giunti? Che non mancano i casi in cui si potrebbe tranquillamente ricorrere all’italiano. Che viene, però, snobbato perché considerato meno “cool”.

Brainstorming.

Come ormai tutti sanno, è la metodologia di lavoro che prevede la partecipazione di più risorse a un incontro nel corso del quale viene chiesto loro di esprimersi liberamente su un dato argomento. Si tratta, insomma, di una tecnica creativa di gruppo tesa a facilitare l’individuazione di una soluzione ad un dato problema. E’ uno di quei termini entrati, a buon diritto, nel lessico lavorativo italiano poiché la lingua di Dante non dispone di un vocabolo in grado di indicarlo. I lavoratori più “tradizionalisti” se ne facciano una ragione: dovranno imparare a chiamarlo così, altrimenti rischiano di rimanerne fuori

Feedback

Nel gergo lavorativo, è il riscontro a qualcosa. Se il collega di scrivania dice di essere in attesa di un nostro feedback su un progetto che ci ha illustrato qualche giorno fa significa che aspetta di sentire cosa ne pensiamo. L’augurio, per tutti (lavoratori e non), è che i feedback siano positivi; ovvero che le reazioni – a una determinata azione, iniziativa o proposta – siano favorevoli. Ma può anche succedere di ricevere un feedback negativo che altro non è se non una bocciatura o una stroncatura. E’ proprio indispensabile ricorrere a questo anglicismo al lavoro? Come già dimostrato, esistono parole italiane che riescono perfettamente a renderne il senso.

Task

Altro non è se non l’incarico che ci viene assegnato dal capo. Il compito da svolgere e portare a termine entro una scadenza indicata (altrimenti detta deadline). A noi pare che se ne possa tranquillamente fare a meno, visto che la lingua italiana dispone di termini che hanno lo stesso significato. Ma il sentore è che alcuni capi tendano a prendersi più sul serio (e a compiacersi di più) se, anziché assegnare banali incarichi ai loro sottoposti, distribuiscono loro impegnativi task.

Skill

E’ un termine di cui si fa un uso smodato negli annunci di lavoro. Dove vengono solitamente elencate le skills – ovvero le abilità – di cui i selezionatori sono alla ricerca. Esistono le cosiddette “hard skills” che sono, in pratica, le competenze tecniche e le “soft skills” che indicano, invece, le capacità trasversali. Il loro ingresso, nel vocabolario italiano del lavoro, ha avuto molto successo, ma in fondo stiamo parlando solo di un altro forestierismo a cui potremmo tranquillamente rinunciare. Senza causare sfaceli al lavoro.

Board

E’ il consiglio di amministrazione di un’azienda; l’organo collegiale a cui è affidata la gestione della società. Vedere aggirarsi dipendenti preoccupati, tra i corridoi, in attesa del verdetto del board non è cosa rara. Ma a ben guardare, quello che gli stessi dipendenti temono sono le decisioni degli amministratori delegati e dei soci che siedono, insieme a loro, nella “stanza dei bottoni”. Il termine board sintetizza bene questa pluralità di persone: i puristi della lingua italiana potrebbero quindi prendere in considerazione l’idea di utilizzarlo. Almeno qualche volta.

Core business

Quando un dirigente parla di “core business” sta praticamente parlando dell’attività principale della sua azienda. Di quella che (volendo monetizzare il discorso) procura maggiori profitti. Se si trova al cospetto di una platea internazionale, interessata a comprendere i vari ambiti di azione della società e di individuare quella più redditizia, ha senso che ricorra al termine inglese. In caso contrario, a noi pare che potrebbe tranquillamente farne a meno, evitando di lasciare in un angolo parole italiane che riescono perfettamente a rendere il senso di ciò che vuole dire.

Conference call

E’ un’audio-conferenza che coinvolge più di due persone. Una riunione a distanza che fa perno sulla comunicazione telefonica. Si tratta di uno strumento importante, molto utilizzato dalle grandi aziende internazionali che riescono a economizzare sulle trasferte di lavoro. La formula inglese risulta – a nostro avviso – più efficace di quella italiana (che pure esiste). La scelta è tutta vostra: meglio partecipare a una conference call o a un’audio-conferenza?

Screening

E’ un’operazione che riguarda principalmente gli addetti alla selezione del personale (o recruiter), che devono passare in rassegna un numero importante di curricula per individuare i candidati a cui concedere una chance. Fare lo screening vuol dire, in sintesi, analizzare il materiale pervenuto e valutarlo (sulla scorta di alcuni parametri) al fine di giungere a una scrematura. La parola inglese risulta indiscutibilmente più efficace e agile, ma i reclutatori più tradizionalisti (e affezionati alla lingua italiana) potranno scegliere di farne a meno.

Benchmark

E’ una metodologia basata sul confronto con altre aziende, che permette di soffermarsi sulle differenze che separano dai competitori più forti. L’idea è quella di partire dal gap (divario) individuato e di scovare nuove soluzioni, in grado di migliorare le prestazioni dell’azienda. Esprimere tutto questo in italiano richiede – come visto – un numero non indifferente di parole; ecco perché, a conti fatti, è forse meglio puntare sull’economicità del termine inglese.

A.S.A.P. 

E chiudiamo con l’acronimo inglese di “As soon as possible” a cui molti capi ricorrono per sollecitare i dipendenti più intempestivi. Per dire loro cosa? Che devono agire (o semplicemente rispondere a un’email) “il prima possibile”. E’ una formula assai usata dalle risorse più fresche, che rischia però di mandare in tilt i colleghi più attempati. Il nostro consiglio (ma fatene l’uso che volete) è di affidarvi all’espressione italiana, che non ha nulla da invidiare all’acronimo giovanilistico d’oltremanica.

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