Alcuni ci nascono, altri ci diventano. Tutto quello che c’è da sapere su chi lusinga il capo per professione
Fare un complimento non è di per sé un male. Anzi: in tempi di imperante egoismo ed invidia, riconoscere il merito di chi ci sta accanto è un tratto tanto insolito quanto ammirevole. Ma attenzione: c’è una sottile linea che separa l’apprezzamento fine a se stesso da quello interessato. Un discrimine che distingue l’ammiratore sincero dal leccapiedi. Nel microcosmo dell’ufficio, il secondo potrebbero avere la meglio. Almeno nel breve periodo. Ma chi sa andare al di là della superficie delle cose, non tarderà a stanarlo e a trattarlo come merita. Distinguendolo da chi tenta di fare bene il suo lavoro, senza percorrere certe “scorciatoie”.
Chi sono i leccapiedi? Persone che, al lavoro (e in generale nella vita), faticano ad essere se stesse. Uomini e donne che fiutano il potere e fanno di tutto per avvicinarlo. Come? Nel modo più facile possibile: ricoprendo di complimenti e lusinghe il capo di turno. Si tratta, in pratica, di persone addestrate all’adulazione, che si mostrano sempre devote e servili. Degli “Yes men” irriducibili che, per convenienza, non osano mai contraddire il boss. Perché? Perché pensano che, dalla loro smodata piaggeria, possa derivare qualche vantaggio personale. O addirittura qualche importante riconoscimento. Trovarli in ufficio non è poi così insolito. Specie in tempi come questi.
Leccapiedi per natura o per necessità
Quello del leccapiedi è un topos a cui molti studiosi hanno dedicato indagini approfondite. Cosa ne è venuto fuori? Che se è vero che la maggior parte di essi sceglie di ossequiare smaccatamente il capo per trarne un vantaggio immediato senza faticare troppo; è altrettanto vero che alcuni di loro agiscono in questo modo per via
della loro insicurezza. In pratica, i leccapiedi sarebbero delle persone dotate di bassissima autostima, propense a credere che l’unico modo per raggiungere un obiettivo al lavoro sia quello di ingraziarsi il capo. Di più: ulteriori ricerche hanno dimostrato che, col passare del tempo, la percentuale di leccapiedi è notevolmente cresciuta nelle aziende. Perché il senso di forte incertezza che aleggia da anni (e che spinge sempre più lavoratori a confrontarsi con gli spettri della precarietà e della disoccupazione) avrebbe indotto molti dipendenti a credere che un modo sicuro per garantirsi la permanenza in ufficio sia quello di incensare il capo. C’è chi, insomma, è leccapiedi per natura e chi lo diventa per necessità.
E veniamo alla domanda delle domande: essere un leccapiedi paga al lavoro? Dipende. Ci sono manager che amano circondarsi di persone che devono limitarsi a dire sempre di sì. Sono i capi ideali per i leccapiedi, che non devono far altro che seguire i loro umori e intervenire al momento giusto. Ma i leader più illuminati, quelli che non usano il potere di cui dispongono per nutrire il loro ego, sanno andare oltre. E riconoscono un collaboratore valido e fidato da uno che gli sta intorno soltanto per convenienza. Non solo: i veri leader tendono a costruire delle squadre coese e produttive ed a premiare chi sa apportare un contributo importante alla crescita dell’azienda. In quest’ottica i leccapiedi – che faticano a dare forma a un pensiero schietto ed autonomo – non verranno mai gratificati. Anzi.
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