Tra i vari tipi di stalking (letteralmente “fare la posta”), ce n’è anche uno che nasce sul luogo di lavoro, detto stalking “occupazionale“. Tuttavia, contrariamente al Mobbing o allo Straining, la cui esistenza è “limitata” al solo ambiente lavorativo, lo stalking occupazionale va a perseguitare la vittima anche nella vita privata.
Si parla di stalking sul lavoro, quando il persecutore (stalker) mette in atto dei comportamenti molesti, ripetuti con una certa frequenza (almeno una volta a settimana per più di tre mesi) con lo scopo di danneggiare un’altra persona (vittima), la quale percepisce tali comportamenti come intrusivi e sgraditi perché messi in atto contro la sua volontà e inducenti un certo timore per la propria incolumità.
Per comprendere meglio cosa sia lo stalking occupazionale è utile tracciare un identikit dello stalker in campo professionale, conoscere chi è, come agisce e con quale motivazione.
Persecutori e vittime di stalking occupazionale
Lo stalker viene paragonato a un cacciatore che segue la sua preda; questi compare di soppiatto nei posti frequentati dalla vittima o nei pressi di casa sua, spiandola e cercando in tutti i modi di farla cadere nella sua trappola. Lo stalker occupazionale più comune appartiene alla tipologia del “rancoroso”.
Agisce per gelosia, ad esempio, per un successo altrui o per vendicarsi di un torto o di un danno subito, reale o presunto. Le sue azioni (pedinamenti, controlli, appostamenti, minacce tramite telefonate, lettere, messaggi lasciati sulla porta di casa o sull’auto, e-mail, fax o chat-rooms) mirano a spaventare e a danneggiare la vittima. Tali molestie spesso si configurano nella mente del molestatore come una difesa o una giusta rivalsa, messa in atto perché paradossalmente si sente egli stesso un danneggiato.
La vittima dello stalking occupazionale, infatti, è una persona conosciuta per via del rapporto lavorativo che il persecutore ha o ha avuto in passato con lei e il conflitto scaturisce quasi sempre a causa di un malinteso comunicativo e/o relazionale, avvenuto nel contesto lavorativo .
E’ il caso del professionista al quale è stata richiesta una prestazione (insegnante, medico, avvocato etc.) che gli ha provocato un danno percepito e giudicato come grave. In questa circostanza, il cliente che si rivolge ad un medico per esempio, potrebbe fraintendere la conclusione di una fase della prestazione con l’esito finale del trattamento e, deluso dal risultato, dà il via ad una serie di atti lesivi nei confronti dell’altro allo scopo di vendicarsi.
Lo stalker in azienda può essere il datore di lavoro, attuale o precedente, il collega o l’ex collega, il dipendente sospeso da un incarico dal proprio capo, quello che vuole vendicarsi delle prepotenze subite dal superiore ma che non può manifestare e sviluppare il conflitto sul posto di lavoro con un’azione di mobbing o di straining in quanto non possiede i mezzi per farlo, teme che qualcuno possa vederlo, o che le conseguenze negative delle sue azioni gli si ritorcano contro. Sceglie così di vendicarsi colpendo la privacy della vittima designata, agendo sostanzialmente indisturbato.
Quando invece la vittima è o è già stata mobbizzata o strainizzata, lo stalking occupazionale si “trasforma” in una strategia di perfezionamento della persecuzione già in atto, un’arma in più per costringere la vittima a rinunciare, ad esempio, ad una promozione, a licenziarsi, oppure come strategia consecutiva a un’azione di mobbing o altro conflitto pre-esistente che si è conclusa senza aver ottenuto gli effetti sperati. In questo caso il persecutore, non essendo riuscito a piegare la persona secondo la sua volontà, invece di gettare la spugna e abbandonare il campo, sviluppa nei suoi confronti maggiore ostilità e sete di vendetta, continuando la sua opera lesiva fuori dal posto di lavoro.
Lo stalking occupazionale può anche associarsi a episodi di molestie sessuali. Frequente è il caso del collega, del capo o del superiore gerarchico che, in seguito al rifiuto, all’indisponibilità da parte della persona oggetto di attenzione a cedere alle sue pressanti richieste di natura sessuale, mette in atto una serie di molestie e minacce che proseguono fuori dal posto lavorativo con lo scopo di vendicarsi. In genere, i danni sulla salute della vittima sono comunemente caratterizzati da agitazione, nervosismo, angoscia, impotenza, frustrazione ma anche da sintomi psicosomatici quali insonnia, cefalea, problemi digestivi, dolori muscolari.
Dal punto di vista psicologico è importante sottolineare che la vittima di stalking occupazionale subisce gravi danni esistenziali in quanto non riesce più a condurre normalmente la propria vita. Il perseguitato, infatti, comincia a perdere interesse per tutto ciò che prima lo entusiasmava, viaggi, shopping, sport, uscite con gli amici, spesso è insicuro, sospettoso, irritabile, pauroso e come se tutto ciò non bastasse, nel tentativo di arginare il problema o di far perdere le tracce al suo persecutore è spesso costretto a cambiare casa, lavoro, numero telefonico e a modificare il proprio modus vivendi.
Stalking occupazionale: come difendersi
E allora, cosa fare per affrontare la situazione? Come comportarsi di fronte a episodi di stalking occupazionale da parte di colleghi o superiori? Partendo dal presupposto che la vittima, spesso, non ne fa parola con nessuno, in quanto c’è in gioco il rischio di perdere il posto di lavoro e che, per paura, per vergogna o perché bloccata da presunti sensi di colpa, tende a giustificare il suo persecutore o ad affrontare il problema con leggerezza a causa di una scarsa consapevolezza della propria condizione, è importante sapere che oggi esiste una normativa ad hoc che può tutelarla.
Nel nostro Paese (pur con netto ritardo rispetto all’Europa), la figura di reato “atti persecutori” è entrata a far parte del sistema legislativo italiano con la legge 2009, la quale punisce ogni forma di molestia in qualsiasi posto si compia. Ciò dovrebbe spronare le persone molestate a parlarne e ad esporre denuncia.
Per denunciare lo stalking è consigliabile conservare documenti e prove (lettere, e-mail, biglietti, sms, eventuali numeri telefonici rimasti in memoria etc.) che spesso in momenti di sconforto possono essere distrutti o cancellati: tutti elementi che supportano un futuro procedimento giudiziario contro l’autore di reato. E’ possibile inoltre rivolgersi all’ufficio vertenze lavoro presso il sindacato di appartenenza e/o ai centri di ascolto e di consulenza, presenti sul territorio nazionale per richiedere assistenza psicologica e legale. Rompere la spirale del silenzio è fondamentale per riappropriarsi della propria vita e della serenità perduta.
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