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Quasi-dipendente, chi è questa figura intermedia tra dipendente e collaboratore

Chi è il quasi-dipendente, quali sono le caratteristiche di questa figura professionale e come si è formata in giurisprudenza.

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Tra le più note relazioni di lavoro dipendente e quelle di collaborazione coordinata e continuativa, spunta una forma di lavoro che il quotidiano Italia Oggi ha già ribattezzato essere quella del quasi dipendente, diverso sia dal lavoro subordinato disciplinato dall’art. 2094 c.c., sia dalla collaborazione di cui all’art. 409 c.p.c.

Una figura non introdotta dal legislatore, ma oramai compiutamente riconosciuta dalla giurisprudenza, che l’ha individuata al fine di tutelare le nuove fattispecie di lavoro che in seguito all’evoluzione e all’introduzione delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando nel nostro mercato del lavoro.

quasi-dipendente

Il caso di Foodora

Ad esprimersi nei modi di cui sopra è stata, recentemente, la Corte di Appello di Torino, trovatasi a giudicare su un contenzioso insorto tra Foodora e sei rider. I giudici di appello hanno respinto la domanda di trasformazione del rapporto di collaborazione in lavoro dipendente, in applicazione dell’articolo 2 del Jobs act. Tuttavia, ha anche provveduto a individuare delle nuove tipologie contrattuali come quella del quasi-dipendente. Ma che cosa si intende?

Secondo quanto desumibile, la figura professionale del quasi dipendente si verificherebbe ogni volta che il datore di lavoro è in grado di esercitare un potere gerarchico effettivo, simile a quello del rapporto di lavoro subordinato, senza tuttavia incidere sull’organizzazione delle modalità di esecuzione della prestazione del lavoratore, che rimane tendenzialmente autonoma per quest’ultimo.

Naturalmente, la riconduzione della giurisprudenza non è completamente indipendente dal materiale normativo a nostra disposizione, ma piuttosto risulta essere un’interpretazione del contenuto dell’articolo 2 del Jobs act, che fino a questo momento è stato interpretato come la volontà del legislatore di trasformare in contratto di lavoro dipendente quei rapporti di collaborazioni che sono contraddistinte dalla “etero organizzazione” da parte del datore di lavoro.

Si tratta di un ibrido, evidentemente, considerato che alcune attività – come quelle dei rider di Foodora, di cui si è occupata la Corte di Appello di Torino – non sono lavoratori dipendenti, ma non sono nemmeno pienamente dei collaboratori, rivestendo delle caratteristiche che sono riconducibili sia alla prima che alla seconda forma contrattuale.

Garanzie del lavoro dipendente

Nella sua nota pronuncia, peraltro, il giudice torinese ha precisato come a questi lavoratori quasi-dipendenti debbano trovare applicazione le regole di natura fiscale e contributiva tipiche del lavoro dipendente, e le altre garanzie di questa formula contrattuale. Naturalmente, non si potrà applicare a questa particolare formula contrattuale la disciplina del licenziamento, considerato che il lavoratore non può comunque intendersi un dipendente.

A questo punto, rimane da capire se questa interpretazione possa prendere piede o meno nel mercato del lavoro italiano, considerato che potrebbe finire con il riguardare numerosi posti di lavoro, caratterizzati dalla possibilità e/o capacità del lavoratore di auto-organizzare le modalità di svolgimento della propria prestazione.

Ovviamente, spesso il prezzo di questa libertà di organizzazione è riconducibile alla mancanza di garanzie in ordine alla continuità della prestazione lavorativa, visto e considerato che non ci sono sostanziali obblighi da parte della controparte di mantenere vive le relazioni professionali con il quasi-dipendente.

Si tratta però, concludeva l’approfondimento compiuto da Italia Oggi, di un elemento che nei rapporti sempre più dinamici tipici del mondo digitale e delle attività ad esso collegato, avrebbe comunque scarso significato sul fronte più concreto. Dunque, l’individuazione della figura del lavoratore quasi-dipendente tende a smentire l’interpretazione del Jobs act che finora è stata attribuita dallo stesso Ministero del lavoro, che tende a restringere entro contorni ben più limitati la figura delle collaborazioni coordinate e continuative, e invece a considerare lavoro subordinato tutto il resto.

Una evoluzione giurisprudenziale che forse potrà fare molta strada e che, in ogni caso, dovrà prima o poi scontrarsi con la qualificazione da parte del legislatore.

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