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Autisti: tanti problemi e qualche soluzione

Quali sono veramente i problemi degli autisti? E perché mancano? Cosa spinge un lavoratore a non prendere nemmeno in considerazione questo lavoro? Scopriamolo insieme

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Da tempo ormai si parla del problema degli autisti. Ne mancherebbero in Italia circa 17.000 e centinaia di migliaia in tutta Europa. Nel Bel Paese recentemente la questione è (ri)uscita a circa metà agosto scorso grazie ad alcuni articoli (ma l’allarme era stato lanciato anche molto prima, a marzo ad esempio). Da quel momento si sono rincorse centinaia di voci sui social, decine di appelli di più o meno grandi associazioni, interviste di imprenditori, articoli di quotidiani ed anche riviste di settore specializzate che affrontavano il problema. Ognuno ovviamente ha proposto la sua soluzione. Ma quali sono veramente i problemi degli autisti? E perché mancano? Ovvero, per quale ragione, nonostante uno stipendio almeno in apparenza più alto di uno standard e nonostante un lavoro in cui comunque si gode di una maggiore libertà rispetto a quello in fabbrica, la categoria si sta quantitativamente riducendo? Cosa spinge un lavoratore a non prendere nemmeno in considerazione questo lavoro? Ci sono principalmente tre ordini di problemi. Quelli che riguardano il perché manchino gli autisti, quelli che riguardano gli stessi autisti, ovvero chi attualmente svolge questo lavoro, e quelli che riguardano le imprese operanti nel mondo del trasporto. Spesso sono legati, ma per un’analisi concreta e puntuale la differenziazione va fatta.

Le barriere all’entrata

autisti

La principale barriera all’entrata è l’ottenimento della patente professionale e della CQC, ovvero della Carta di Qualificazione del Conducente. Queste due licenze possono essere un forte deterrente per due ragioni: la prima è meramente economica, ovvero fare le patenti professionali (C-D-E) costa e non poco. Così come la CQC. Stiamo parlando di migliaia di euro (considerando l’iter completo). C’è chi dice 4000 e chi dice 6000 ma sono comunque tanti. Soprattutto per un giovane che non ha mai lavorato e che quindi, facilmente, non può avere a disposizione una simile somma, che per giunta dovrebbe investire, per poi magari sentirsi dire da varie aziende “eh ma non hai esperienza”.

Classico problema italiano questo, per il quale se non hai esperienza non ti vogliono, ma proprio per quello diventa difficile fare esperienza. Insomma, un cane che si morde la coda. Bisogna pensare che non in tutta Italia fioriscono logistiche e imprese del trasporto, quindi le possibilità in alcuni luoghi potrebbero essere limitate, salvo accettare l’idea di trasferirsi, ammesso che ne valga la pena. Ovviamente non è sempre così. Ci sono anche casi contrari, ovvero di grosse aziende che addirittura pretendono loro stesse di formare gli autisti(una volta che questi hanno conseguito tutte le patenti necessarie), aprendo addirittura delle vere e proprie scuole di loro proprietà. Trattasi indubbiamente di aziende virtuose. Però è chiaro che in alcuni casi la prima realtà può essere scoraggiante.

La seconda ragione, per la quale le patenti sono una barriera all’entrata, è molto più tecnica e riguarda la difficoltà di conseguire le stesse. I corsi sono diventati più lunghi e gli esami, nel caso delle patenti, soprattutto quelli teorici sono divenuti sempre più complicati. Molti autisti fanno da tempo presente le complicazioni legate all’ottenimento della CQC. Per capire meglio spieghiamo brevemente di cosa si tratta: vent’anni fa ad esempio la CQC non esisteva. E’ stata poi introdotta una legge apposita (nel 2013) che obbligava gli autisti al possesso di tale carta, che però inizialmente, grazie ad un periodo di transizione, chi aveva il CAP (cioè un certificato necessario alla guida degli autobus, legato quindi al trasporto delle persone) poteva trasformare quest’ultimo nella CQC senza sostenere alcun corso o esame.

Così infatti fecero molti vecchi autisti. Ma la CQC è stata anche divisa in “merci” e “persone”. Questo vuol dire che chi ha fatto la patente una ventina d’anni fa (ma anche meno) ed aveva il CAP (molto più facile della CQC da ottenere) si è ritrovato con una CQC “completa” quasi gratuitamente, contrariamente a chi fa la patente ora che deve spendere un bel po’ di soldi e faticare non poco per ottenere almeno una delle due Carte. Deve quindi anche scegliere se lavorare nel mondo delle merci o delle persone, venendo così limitato sullo stesso mercato del lavoro. A meno che voglia conseguire entrambi i certificati, spendendo e faticando di più (si può però fare anche un esame unico).

Il costo tra l’altro può aumentare se si viene bocciati e bisogna rifare l’esame. E data la (giusta) difficoltà tecnica è una cosa da mettere in conto. Bisogna anche pensare che la categoria degli autisti non è tra le più istruite (non c’è bisogno di un titolo di studio per guidare un camion o un bus). Ovviamente l’istruzione non c’entra nulla con l’intelligenza personale, ma ad esempio per studiare e memorizzare dei testi mediamente complicati (ed è naturale che lo siano visto che si tratta di competenze tecniche da acquisire), conoscere bene la lingua italiana aiuta non poco a comprendere i testi stessi. Tutti problemi questi, che gli autisti della vecchia guardia non hanno mai avuto se non in piccola parte. E’ quindi facile capire come queste modifiche abbiano diminuito le possibilità di conseguire le patenti, facendo desistere molti dall’intraprendere l’attività di trasportatore.

Una delle soluzioni paventata da alcuni imprenditori e qualche associazione (ma anche diversi autisti hanno espresso opinione favorevole) è quindi proprio legata alla CQC, la proposta è infatti di toglierla, perché data la sua difficoltà ed il suo costo scoraggerebbe molti ad intraprendere la carriera di autista. C’è anche da aggiungere che quando c’era ancora il militare obbligatorio, moltissimi hanno preso le patenti professionali durante il servizio di leva, convertendole poi in patenti civili e ritrovandosi sostanzialmente gratis con un lavoro in mano.Un’altra barriera che tecnicamente non sarebbe all’ingresso ma che col tempo grazie al passaparola lo è diventata è la qualità della vita degli autisti di professione, della quale però parleremo in un altro paragrafo apposito.

Quante difficoltà per le aziende, soprattutto quelle piccole

La mancanza di autisti ricade sulle imprese del settore, che devono sopperire con orari più lunghi per i propri dipendenti oppure devono rinunciare ad alcuni lavori (riducendo il fatturato e il guadagno). Ma la relazione è anche contraria. I molti problemi a cui le aziende sono sottoposte, spesso non permettono a queste ultime di offrire condizioni ottimali agli autisti, che appunto o se ne vanno se già lavorano, o scartano l’offerta se non stanno ancora lavorando. La prima questione è lo stipendio. Tratteremo la questione approfonditamente in un prossimo paragrafo ma in questa sede basti dire che lo stipendio di un autista non è poi così alto come forse generalmente si è portati a pensare, anzi.

Date le ore di lavoro e la responsabilità (ancora più alta per chi trasporta persone, che tra l’altro in diversi casi ha stipendi più bassi di chi trasporta merci), diventa sempre più complicato soddisfare le richieste del mercato del lavoro. Ma perché le aziende non pagano bene? Cosa le spinge ad “incasinarsi” con gli autisti, a non investire nel personale ed a volte anche a risparmiare sui mezzi che quel personale guida? Le ragioni sono piuttosto semplici e sotto gli occhi di tutti: in Italia la tassazione è tremendamente alta e per giunta periodicamente aumenta qualsiasi cosa. Le imprese (tutte, ma in questo caso parliamo di quelle del trasporto) devono sostenere costi sempre più alti per un gran numero di voci. Il gasolio prima di tutto, ma anche i costi delle riparazioni, le autostrade, sono quelli più immediati. E’ chiaro che più queste voci aumentano la propria incidenza,meno margine avrà l’azienda per pagare bene i suoi dipendenti o investire in mezzi nuovi.

Poi c’è la burocrazia, pure quella è un costo enorme. Le imprese devono continuamente produrre una serie non trascurabile di documenti, e pagare discrete somme al commercialista, all’avvocato, o al consulente del lavoro, per fare che tutto vada per il meglio ed evitare problemi di varia natura (fiscale, legale). Questo è un vero e proprio investimento non solo di soldi, ma anche di tempo, il quale viene letteralmente tolto agli imprenditori, che potrebbero invece impiegarlo a cercare nuovi clienti, quindi maggior lavoro, che a sua volta comporta sviluppo aziendale. Per giunta spesso si lavora con tariffe (magari al chilometro) che permettono margini di guadagno decisamente risicati. Di conseguenza fino a quando va tutto bene, si “tira avanti”, ma in caso di imprevisti medi o grandi, le difficoltà potrebbero risultare addirittura insuperabili.

Questo discorso vale soprattutto per le aziende piccole o al massimo medie. Non che i colossi non abbiano problemi anche loro, ma è chiaro che c’è un’enorme differenza tra chi ha a disposizione grandi capitali da investire e chi, come padroncino deve fare tutto lui o quasi. Un conto è decidere di comprare 20 (ma anche 50 o più) mezzi nuovi (quasi sempre bilici o autotreni, nel campo delle merci), affittare o acquistare un parcheggio, entrare da un cliente grosso acquisendo una serie di “linee” durature in grado di garantire stabilità economica all’azienda e su quella base assumere dipendenti che svolgano quel lavoro (sul campo) e delegare altri dipendenti che sbrighino le pratiche relative (in ufficio). Senza contare la possibilità di poter pagare studi appositi, legali o di consulenza in grado di aiutare concretamente l’azienda non solo nel gestire i problemi ma anche nel suo sviluppo.

Un altro conto è invece dover lavorare a vista prendendo appalti per (ad esempio) un paio di motrici (ma vale anche per chi lavora nel trasporto persone), appalti che magari sono temporanei e che vengono offerti da aziende che non si sa bene se paghino o comunque se paghino regolarmente e, su quella “base” (tra virgolette perché tanto base non è), dover comunque sostenere tutti i costi, compresi ovviamente gli stipendi dei dipendenti. E per giunta bisogna saper gestire tutto da soli, o al massimo con l’aiuto di uno o due impiegati. Un piccolo imprenditore, per quanto bravo, non potrà mai sopperire da solo alle competenze di decine di persone che hanno studiato apposta per fare quello che fanno (ovvero appunto avvocati, consulenti, fiscalisti e via dicendo).

Tante piccole aziende, va detto, sono a conduzione familiare. E’ vero che l’arte di arrangiarsi in Italia è molto sviluppata e che l’italica capacità di trovare soluzioni a problemi anche molto complessi è abbastanza nota, ma a tutto c’è un limite. Inoltre, capita che i cosiddetti “padroncini” vengano letteralmente buttati fuori da grossi committenti che preferiscono affidarsi ad un’azienda più grande che gestisca tutto il lavoro o gran parte di esso, piuttosto che suddividerlo tra molte piccole imprese. Questo avviene per vari motivi, primo fra tutti probabilmente la facilità di gestione del fornitore (ma anche la maggiore possibilità di sostituire lavoratori indisposti, che incide sulla continuità lavorativa).

Dove lavorano le piccole aziende?

Quindi dove lavorano i piccoli? Ci sono lavori che i colossi non prendono perché non conviene. Ovviamente se il business non è su larga scala, è solitamente solo una cosa in più da gestire che non incide sul guadagno, ed anzi potrebbe rivelarsi controproducente in termini di tempo dedicato. Questo non vuol dire che tra i piccoli appalti sia tutto precario. Esistono anzi aziende affidabilissime che pur non avendo una grossa mole di lavoro da offrire sono serie come poche altre, però non sempre è così. E comunque il mondo del trasporto sembra orientarsi sempre più verso il massiccio impiego di imprese strutturate con a disposizione parchi macchine decisamente rilevanti. Quindi solo i piccoli hanno problemi? No. Non è così.

Le aziende più grandi sono solitamente sottoposte a maggiori controlli e anche per questo è più difficile ad esempio trovare irregolarità negli stipendi erogati. Ma per pagare questi stipendi devono avere un giro d’affari adeguato e anche per loro c’è la concorrenza. Qual è? La concorrenza per i giganti italiani del trasporto è dovuta soprattutto ad alcune aziende estere altrettanto grandi (o ancora di più, in alcuni casi), spesso con sedi nell’est europeo, che possono permettersi di pagare gli autisti decisamente meno di quanto vengono pagati in Italia. Questo fa sì che possano strappare contratti a tariffe più basse aggiudicandosi le commesse, spesso internazionali. Le cose comunque sono più intrecciate di così. C’è chi, partendo dall’Italia, crea aziende in altri paesi per sfruttare il vantaggio del costo del lavoro più basso e poi fa lavorare in Italia gli autisti. Questo per le aziende (solo) italiane, anche quelle abbastanza grosse, è un bel problema.

Il cabotaggio stradale

Ce n’è un altro di problema: il cabotaggio stradale, che è definito come “l’ammissione di vettori non residenti, ai trasporti nazionali di merci su strada in uno Stato membro dell’UE”, ovvero “eseguire trasporti interni in un Paese dell’Unione Europea o dello Spazio Economico Europeo, diverso da quello in cui il trasportatore è stabilito”. Abbiamo preso la definizione da un documento ufficiale della Motorizzazione civile di Trento. In parole povere significa che un’azienda con sede in Francia, o in Romania, può lavorare internamente all’Italia, facendo quindi trasporti da una ditta all’altra, entrambe nel nostro Paese. Se questa cosa però la fa un’impresa con sede in un Paese che lavora con costi che possono anche essere dimezzati rispetto a quelli italiani, ecco che le imprese nostrane possonofacilmente trovarsi in difficoltà.

C’è di più, esiste anche una forma illegale di cabotaggio. La UE infatti ha pensato al problema della differenza del costo del lavoro ed ha limitato l’attività di cabotaggio stradale. Ma esistono ancora aziende che, al posto di svolgere le consuete tre operazioni a settimana (poi dovrebbero uscire dal Paese di destinazione), permangono con i loro mezzi su territorio estero anche oltre un mese. Ovviamente si tratta di una pratica scorretta, ma tant’è e va ancora a maggior danno delle imprese italiane che si trovano a dover duellare con concorrenti che, oltre a non rispettare sempre le regole, hanno anche costi molto inferiori. Cosi, a volte, diventa molto complicato reggere il confronto e sopravvive quasi solo chi è molto strutturato.

Ci sono poi (non così poco spesso) anche problemi tra imprese, il principale è quando un’azienda non paga l’altra. E’ chiaro come questo possa ripercuotersi sul guadagno del creditore e sull’esistenza stessa di quest’ultimo nei casi più gravi. In Italia riscuotere un credito non sempre è così facile, si può diventare protagonisti proprio malgrado di cause lunghissime che magari alla fine, per mille ragioni non portano a nulla o quasi. Ovviamente non è sempre così, ma questo rischio esiste ed è concreto. La Spagna recentemente ha inserito una norma contro le aziende che non pagano le altre, che prevede una multa che va dai 6.000 ai 30.000 euro. L’Italia volendo potrebbe imitare la Spagna adottando una norma simile.

Autisti: stipendi, costi, qualità della vita. Un’esistenza votata al sacrificio

Se si potesse fare la stessa domanda alle centinaia di migliaia di autisti presenti sul nostro territorio, la stragrande maggioranza, soprattutto tra i camionisti, risponderebbe che questo è un lavoro che fai per passione. Dal camion c’è chi scende e cambia lavoro, ma poi ritorna “sempre” perché non si può stare lontani dai bestioni, quel richiamo è più forte di tutto. Leggende di settore che forse una volta potevano avere un concreto fondamento di verità, ora indubbiamente la situazione è cambiata. E i motivi sono tanti, ma veramente tanti.

Lo stipendio medio di un autista

Parliamo di chi trasporta merci: innanzitutto, quanto guadagna un camionista? Va detta subito una cosa, rispetto a dieci anni fa, gli stipendi in molti casi si sono addirittura abbassati, al contrario della responsabilità che è aumentata, esattamente come i costi. La stessa cosa per gli autisti di bus, linea o turismo, che di responsabilità ne hanno ancora di più e come già detto magari guadagnano pure meno di chi trasporta merci. Uno stipendio medio di un camionista può aggirarsi sui 1500-1600 euro netti. Questo se fa tratte giornaliere. A seconda dei casi si può arrivare anche a 1800, forse pure 2000 ma è molto difficile. Non è così per chi dorme sul camion, ovvero chi sta fuori una o più notti, magari anche dal lunedì al venerdì, oppure più settimane (stando quindi fuori anche il weekend). In quel caso lo stipendio aumenta. Può arrivare a 2200, sempre netti. Ma anche 2500, 2700, 3000, soprattutto se si fa l’estero. Alcune aziende però, in queste cifre ci piazzano dentro la tredicesima, la quattordicesima e a volte anche il Tfr (così di fatto lo stipendio si riduce di un bel po’). I contributi inoltre non sono calcolati su quei soldi lì, ma su un’entità decisamente minore degli stessi. Le cifreinsomma, variano e anche di molto.

A vederle così, queste cifre,uno potrebbe però pensare che ci si possa pure accontentare. Portare a casa più di 2000 euro netti al mese non dovrebbe effettivamente fare schifo a nessuno. Ci sono dei “però”, grossi come delle case. Già, l’autista ha dei costi, piuttosto importanti. Se si sta fuori tutta la settimana dormendo in una cuccetta non è pensabile mangiare sempre panini ed è decisamente difficile anche cucinarsi da soli portandosi da casa le provviste o facendo la spesa in giro. Spesso non si ha nemmeno il tempo di farlo, perché ci si deve fare una doccia, risposare. Le ore per fare queste cose non sono certo tante. Di conseguenza i camionisti che vivono sulla strada te li ritrovi al ristorante, soprattutto di sera, dove possono spendere cifre che vanno mediamente dai 12 ai 18 euro. Ecco, moltiplicando questa cifra per 16 giorni (se si torna a casa al venerdì) esce una quota che varia dai circa 190 a circa 290 euro. Quindi se si mangia fuori una volta al giorno (di sera, a fine turno) da quello stipendio vanno tolti dai 200 ai 300 euro. Solo per la cena. Ma il calcolo riguarda appunto chi sta fuori fino al venerdì e poi rientra. Se si sta fuori anche il weekend i costi aumentano. E aumentano in proporzione di più di quanto siano maggiori gli stipendi rispetto a chi rientra a fine settimana.

Alcuni ristoranti e un buon numero di aree di servizio in autostrada hanno le docce. I camionisti si lavano lì. Non sempre però queste sono gratuite (in autostrada sì). Il costo, se c’è, può essere di due-tre-quattro euro. Se ci si fa la doccia tutti i giorni anche quello diventa una spesa. Non è sempre così, molti ristoranti offrono la doccia gratis, in altri è gratis solo se mangi lì (sono aziende anche i ristoranti, pure loro devono campare), costringendo così, in un certo qual modo, a spendere. E’ pur vero che diverse aziende permettono agli autisti di fare la doccia nei propri locali (assolutamente gratis), però va a discrezione e anche a disponibilità dei locali stessi, di conseguenza è sempre un po’ un’incognita. In sostanza succede che un camionista non riesca a lavarsi per mancanza di tempo o della disponibilità di una doccia. Quando invece può, spesso deve pagare togliendo soldi dallo stipendio che porta a casa.

Quanto lavora un camionista?

Andiamo avanti; a fronte dei salari citati prima, quanto lavora un camionista? Legalmente l’orario di lavoro è abbastanza complesso, ma non c’è bisogno di citare la legislazione completa, per capire basterà prendere l’orario giornaliero. Un autista ha un “impegno” che è normalmente di 13 ore, ma tre volte a settimana può essere di 15. In questo tempo il camionista può guidare al massimo 9 ore o, per due volte a settimana, 10. Il suddetto impegno poi, legalmente non esiste, è un concetto che usano gli addetti del settore per capirsi, ma in realtà è il riposo che comanda. Quello sì, èregolato per legge. Infatti quelle 13 o 15 ore ed il riposo devono essere svolti nelle 24.

Questo vuol dire che l’autista deve stare fermo nelle 24 ore almeno 11, oppure 9. In quest’ultimo caso deve poi recuperare le ore. Se inizia alle 5 di mattina dovrà per forza finire al massimo alle 20 (se fa 15 ore). E non potrà ricominciare prima delle 5 del giorno dopo. Per uno che lavora così tanto e che fa quel lavoro lì, cioè guidare, 9 ore di riposo (ma anche 11) non sono poi così tante. Tra un’oretta o poco più per mangiare e lavarsi, sistemare qualcosa sul camion e sentire la famiglia da cui è sempre lontano, spesso non ne restano più di sette o nove per dormire. Figuriamoci se decide di cucinarsi da solo per risparmiare. Il giorno dopo dovrà lavorare le stesse ore o quasi. E questo sempre se è tutto regolare. Ovviamente capita di faticare anche molte meno ore, dipende dal lavoro che si fa e dalle esigenze, ma quel che si vuole sottolineare è che l’orario può essere anche quasi doppio rispetto a uno che opera in fabbrica o in un ufficio, che sì, avrà anche uno stipendio probabilmente più basso, ma non è certo la metà. Inoltre stiamo parlando di chi sta fuori a dormire. Chi rientra a casa tutti i giorni potrebbe lavorare le stesse ore (quindi 13 o 15) ma avere uno stipendio ben più basso di chi sta fuori. Al pari appunto di un operaio o un impiegato non di livello.  E ovviamente le responsabilità sono molto diverse.

Rischi e responsabilità di un autista

Un autista di camion rischia tutti i giorni, può farsi male lui o far male a qualcuno. Un autista di autobus, oltre a quello, ha anche la responsabilità delle persone che porta. A quei ritmi è facile capire come lo sbaglio sia sempre dietro l’angolo. Basta davvero un attimo, di distrazione, disattenzione, stanchezza. Anche un piccolo malore può essere fatale nel perdere il controllo del mezzo e combinare involontariamente un disastro. E un “piccolo malore” quando lavori sempre tutte quelle ore lì e sei sotto stress da guida per 9 o 10 ore, non è certo così improbabile. Quando purtroppo succede, potrebbe venire sospesa la patente, anche per mesi. E quindi magari anche niente stipendio. In più quando ci sono feriti o morti, ci potrebbero essere spese legali da sostenere (unite appunto alla mancata entrata). E’ normale che sia così? Per legge lo è, ma sono anche questi costi da mettere in conto. Cose che possono accadere.

Costi e sanzioni

Nei costi mettiamoci poi tranquillamente anche le sanzioni (sulle quali in un prossimo paragrafo faremo un discorso a parte)anche loro in continuo aumento. La più lieve delle multe è facile che porti via all’autista l’intero importo della giornata lavorativa, se non di più. Ma se guidi 9 ore al giorno (con una pausa in mezzo di 45 minuti, o due separate da 15 più 30) e magari fai 600 chilometri con qualunque tempo, può ben scappare che qualche volta al posto di guidare al massimo 4.30 ore (termine oltre il quale ti devi necessariamente fermare) uno guidi 4.33. Ecco, lì c’è la multa. E’ ovvio che sia così, la legge deve dare un limite netto per forza. Però… è solo un esempio, ce ne sarebbero decine di altri da fare. Sono situazioni che possono capitare più volte al mese, generando anch’esse decurtazioni dello stipendio. Soldi che, banalmente, non vengono portati a casa.

Un altro costo una tantum, che certamente non incide sullo stipendio, ma è comunque da considerare, è proprio quello della CQC, in specifico per il rinnovo della stessa.  Si tratta di una cifra non rilevante, 300-350 euro ogni 5 anni, ma anche quello è un costo. Lo è, pur molto minore, anche l’acquisire la carta tachigrafica, che è una tessera magnetica da inserire nel cronotachigrafo, allo scopo di registrare le attività dell’autista. La tessera è obbligatoria e soggetta al controllo delle Forze dell’Ordine. Proprio da quella, queste ultime vedono se un autista ha commesso o meno infrazioni. Si può andare indietro nel controllo fino a 28 giorni (ma in alcuni casi di più). Questo vuol dire che un autista può essere multato anche per un’infrazione che ha commesso quasi un mese prima. Insomma, fondamentalmente tutto è a carico di chi guida. E quindi del suo stipendio. Quella cifra che può andare dai 1500 ai 3000, anche netti, a seconda del lavoro che si fa (e a dire il vero anche della fortuna), non è mai esattamente quella. E’, per tutti questi motivi, sempre di meno, poco o tanto che sia.

La qualità della vita

Oltre ai costi c’è anche un altro parametro da tenere in forte considerazione e che probabilmente può indurre qualcuno a lasciare questo lavoro per preferirne uno, per così dire, meno totalizzante: la qualità della vita. E’ chiaro che chi sceglie di fare il camionista non può certo pensare di dormire sugli allori. E’ un lavoro per gente che ha voglia di fare, d’impegnarsi, per persone sveglie. Se a proposito degli esami della CQC abbiamo citato l’istruzione, che certamente aiuta, nessuno deve comunque pensare che un qualsiasi autista, data magari anche la bassa istruzione, possa essere stupido. Tutt’altro. Ci vuole una buona dose d’intelligenza per svolgere al meglio questo lavoro.

Un autista non deve sapere solo guidare, deve saper sistemare il carico, qualsiasi esso sia, prevenire i problemi, avere una forte resistenza allo stress e un’incredibile pazienza. E sono solo alcune delle caratteristiche necessarie. Vari autisti sono pure un qualcosa che in un certo qual modo si avvicina ad un meccanico, senza fare indebiti paragoni tra quest’ultimo, che è un professionista del settore e l’autista stesso che, diciamo, riesce a cavarsela in caso di problemi. Se poi lavora per l’estero, spesso impara anche un paio di lingue, magari un po’ a spanne, ma le impara.

Quindi l’autista, un po’ troppo bistrattato da qualcuno, è uno che può guidarti un mezzo da oltre 40 tonnellate con qualsiasi tempo e sui qualsiasi strada, in grado spesso di apportare le prime riparazioni d’emergenza allo stesso mezzo quando si trova in panne, che conosce il modo di caricare o scaricare qualsiasi tipo di materiale (e se non lo conosce ci mette ben poco ad impararlo). Nel caso di chi guida gli autobus, oltre a molte delle caratteristiche succitate, va considerata anche una forte capacità di trattare con le persone, cosa di certo non da tutti. E oltre a tutto ciò, sia in un caso che nell’altro, magari parla pure tre lingue, pur forse un po’ improvvisate. Davvero qualcuno può ancora considerare l’autista una specie di sempliciotto? Non è un lavoro per tutti, è un lavoro per chi lo sa fare e, al massimo, per chi vuole davvero impararlo. Non ci si può improvvisare autisti, in nessun caso, a meno di non voler pagare lo scotto di rischiare di fare danni seri.

Detto questo, nel caso dei camionisti, va tenuto presente che ci si può trovare ad uno scarico ed aspettare pure 8 ore (ovvero la giornata lavorativa di un operaio o un impiegato), questo dopo magari aver guidato. E dover ripartire per diverse ore una volta finito. Ecco, qualcuno provi a fare questa cosa in agosto con 40 gradi. Alcuni mezzi hanno il condizionatore da fermo (un dispositivo che raffredda la cabina a motore spento), ma non sono così tanti. Dopo aver fatto tutto questo, per riposare ci si ferma in una piazzola di un’area di servizio che può essere più o meno attrezzata, o in un parcheggio, si dorme in una cuccetta e anche qui, non è detto che si riesca sempre a dormire bene. Inutile stare lì ad elencare tutte le ragioni, ma fondamentalmente tanti che sono “del mestiere” dicono che l’autista un po’ lavora pure quando dorme. Si può essere derubati, o aggrediti, un problema simile quest’ultimo a quello che hanno gli autisti di autobus di linea, anche se non passano la notte sul mezzo

Oltre a questo c’è da pensare che se si trascorre la notte fuori (o il giorno, per chi lavora di notte) si è spesso lontani dalla famiglia (se la si ha), è insomma una vita abbastanza sacrificata. E’ovvio che chi decide d’intraprendere questa professione lo sa anche prima e lo accetta, però qualcosa per migliorare le condizioni di lavoro e di vita dell’autista lo si potrebbe anche fare (lo vedremo poi).

Perchè si decide di fare l’autista?

Ma allora perché l’autista lo fa? Se il lavoro è così sacrificato, i soldi non sono poi così tanti ed i rischi alti, per quale motivo chi guida continua a farlo. E soprattutto perché un giovane dovrebbe intraprendere questo mestiere? In realtà di motivi ce ne sono. Come detto tanti lo fanno per passione pura, è gente che vuole stare sul camion (o sul pullman),che sa stare solo lì. Non concepisce nient’altro. Per queste persone essere sulla strada e guidare bestioni che possono avere anche oltre 700 cavalli, sentirne l’odore, è tutto. E’ una cosa che si ha o non si ha, e chi non l’ha non può capirla. A sentirne altri ti dicono che lì c’è la “vita vera”, che a rinchiudersi in uno stabilimento è un po’ come soffocare una parte di te.

Se stai in strada vedi posti, incontri persone, ascolti racconti che non sentirai da nessun’altra parte. Sono pezzi di vita di gente come te e per questo ti arricchiscono. Coltivi rapporti. Ti dicono anche che alla fine, sì, le cose sono difficili, brutte anche, ma vuoi mettere con lo stare otto ore quasi al buio magari attaccati a una macchina? Se guidi alla fine sei libero. Se vuoi fermarti a bere un caffè ti fermi, se vuoi fare una telefonata la fai. Per gli autisti di autobus poi, soprattutto quelli gran turismo, parlare con le persone è fondamentale. E’ parte integrante del loro lavoro, vogliono farlo. Sono contenti di farlo. E’ tutta un’altra vita insomma. E in effetti, da questo punto di vista, è proprio così. Per altri ancora il problema è la libertà in se stessa, il “non avere il capo attaccato al sedere”. Fare l’autista insomma, se si è portati (e bisogna esserlo), stante tutti i problemi di cui sopra, alla fine è un bel mestiere, fatto di cose molto semplici, ma a volte è pure divertente.

Il problema delle irregolarità

Come in tutti i settori esistono delle irregolarità. E anche delle illegalità. Le principali riguardano la violazione dei tempi di guida e di riposo. Di solito c’è la multa, ma non è sempre e solo così, alcune cose sono proprio da codice penale. Altre irregolarità riguardano spesso gli stipendi degli autisti.  Nel primo caso, come abbiamo detto in un altro paragrafo, gli autisti hanno dei tempi di guida da rispettare. Non possono lavorare più di tanto e non possono guidare oltre un certo limite. Alcuni però violano queste norme. Se lo fanno in un modo per così dire “normale”, un semplice controllo della carta tachigrafica è sufficiente alle Forze dell’Ordine per scoprire la violazione e sanzionare l’autista. In altri casi però esistono dispositivi specifici come una cosa chiamata “calamita”, o direttamente la manomissione elettronica del cronotachigrafo.

La calamita

Questi sistemi permettono di superare i limiti di tempo, evitando però che la Polizia se ne accorga. In pratica il mezzo risulta fermo. Però sta andando. Così chi guida può lavorare molte più ore (mettendo a rischio la sua ed altrui sicurezza). Se questo succede l’azienda guadagna di più. E l’autista,forse, pure. Però non è regolare. Come fare? Ecco, le Fdo non è che siano proprio le ultime arrivate, sanno tutto. Di conseguenza “beccano” quelli che fanno ‘ste cose, svolgendo controlli più approfonditi, magari con dispositivi appositi iper-sofisticati. Il problema è che però i controlli possono essere solo a campione. Ovvero non si potrà mai prenderli tutti.

Il problema della calamita o similari è bello grosso. Nel 2016 a seguito di un’indagine su un’azienda che è parso imponesse l’utilizzo di questo “trucco” ai suoi autisti, la Cassazione ha stabilito che non è un illecito amministrativo (cioè una mera infrazione del codice della strada), ma un vero e proprio reato penale. Questo perché vanno messe in atto tutte le cautele per “evitare disastri”, cosa che non può essere se si fa guidare il dipendente più dei limiti di legge. Però ci va di mezzo anche il dipendente stesso. Perché chi guida alla fine è lui.

La “doppia scheda”

Un altro sistema usato è quello della “doppia scheda” (carta tachigrafica). Una volta finite le ore con la propria, si usa quella di un altro. Non è sempre facile da scoprire perché il responsabile va beccato sul fatto, cioè intanto che guida con la scheda di qualcun altro. A posteriori è difficile in quanto il cronotachigrafo (anch’esso controllabile dalle Fdo a prescindere dalla presenza di una scheda) registrerà regolarmente l’attività di qualcuno. Che poi quel qualcuno non sia effettivamente presente, dopo, è veramente complicato da capire. Questa parrebbe essere l’evoluzione del sistema del “doppio disco”. Quando non esisteva la carta tachigrafica (che è personale e non è possibile averne più di una) c’era un disco che veniva compilato a penna. Il problema è che per non rispettare i tempi di guida bastava usarne due e stracciare il primo. E’ uno dei motivi per i quali anni fa molte aziende hanno spinto a livello europeo per avere la scheda tachigrafica, molto più controllabile, in grado quindi di ridurre la concorrenza sleale.

Altre violazioni

Altre violazioni consistono nel rimuovere o taroccare il limitatore di velocità, ma impedendo al cronotachigrafo di registrare la stessa sopra i limiti di legge. Un’altra violazione, legata al riposo anche se non ai suoi tempi è questa: esiste un regolamento comunitario del lontano 2005 che stabilisce che il riposo “lungo” ovvero le 45 ore che devono passare dopo un periodo settimanale di lavoro, non possa essere effettuato in cabina, ma in un luogo attrezzato con servizi igienici. La questione è risaltata fuori negli ultimi anni perché la cosa è stata ribadita dalla Corte di Giustizia europea nel 2017. Ecco, questa è una cosa che a dire il vero non accade così spesso. Nel senso che non sempre l’autista passa il riposo lungo nei luoghi deputati, ma lo passa proprio in cabina, l’infrazione può essere comminata solo se in flagranza, ma tant’è.

Le responsabilità

Perché raccontare tutte queste cose? Perché tutte queste violazioni sono spesso se non sempre a carico dell’autista. E’ vero che tante volte scatta anche una sanzione, un’ispezione, e nei casi più gravi anche una vera e propria indagine giudiziaria a carico dell’azienda, ma il primo responsabile è sempre chi sta sul mezzo. Però, non è così raro trovarsi di fronte ad un autista che sostiene che la sua azienda gli imponga di violare le regole in un modo o nell’altro. Questo è un bel dilemma. E soprattutto causa delle responsabilità, ovvero dei motivi per i quali qualcuno potrebbe decidere di abbandonare il mestiere. Se non è colpa tua ma lo devi fare per forza (non so, perché magarti sei a tempo determinato?) e le multe (che sono giustamente alte) le danno a te, o anche a te, perché dovresti rischiare? E’ una cosa su cui riflettere bene.

Un’altra questione irregolare che può scoraggiare non poco è legata agli stipendi. Succede infatti (come in tutti i settori, a dire il vero) che ci sono aziende che non ti danno quello che dovrebbero, o ritardano negli stipendi. Girano anche voci peggiori, ma essendo indimostrabili non ha alcun senso riportarle. Potrebbero appunto essere solo voci.  Fatto sta che lottare per avere uno stipendio regolare dopo aver lavorato 12 ore o più con addosso un’enorme responsabilità non è proprio quel che si può dire uno stimolo alla professione. Ovviamente non stiamo parlando di comportamenti generalizzati, ma di casi (anche se non così rari, diciamo che può dipendere da molte cose). Basterebbe rispettare almeno il CCNL di categoria insomma. Potrebbe essere più alto? Sì, però se tutti lo rispettassero alla lettera già agli autisti le cose andrebbero un po’ meglio e nella categoria ci sarebbe meno disfattismo, forse sarebbe anche più unita.

Gli autisti di autobus

Per quanto riguarda gli autisti di autobus possiamo citare almeno questi problemi: a parte il già accennato rischio di aggressione, il fatto è che avere a che fare con le persone è complicatissimo. C’è ad esempio chi vuole che il conducente faccia fermate al di fuori di quelle canoniche, questo di solito succede perché qualcuno lo fa. Ma è sbagliato: sbaglia sia chi “rompe” per avere la fermata che non c’è, sia l’autista che si ferma dove non può. E’ proprio quest’ultimo tra l’altro che crea il problema. Non dovrebbe farlo per una ragione semplicissima. Se un passeggero salendo o scendendo si fa male fuori da una fermata canonica, sono cavoli amari per tutti. Di conseguenza l’unico che fa la cosa giusta è proprio l’autista che si rifiuta di concedere la fermata farlocca, cioè quello che viene contestato. Il che è abbastanza assurdo. I passeggeri spesso pretendono cose impossibili.

Ad esempio nella categoria dei gran turismo può esserci la richiesta di fare varie soste, più di quelle previste dalla tabella di marcia. Ma allo stesso tempo c’è la pretesa di rispettare i tempi della stessa tabella. Un autobus può andare anche a 100 km/h. A 100 però, non 120. Non si può chiedere all’autista di andare più di quel che deve e comunque più si va forte più c’è rischio per tutti. Quindi la richiesta non dovrebbe proprio esistere. Il conducente di autobus ha addosso una pressione mica da ridere. Avendo a che fare con le persone ed essendo lui il rappresentante dell’azienda in quel momento, la gente tende ad incolpare lui. Se il bus arriva tardi è perché “quello non c’ha voglia di lavorare”. Fa niente se magari è rimasto incastrato perché qualche buontempone ha parcheggiato in doppia o tripla fila, oppure c’erano troppe persone che volevano salire ed ha dovuto intervenire. A queste cose non ci si pensa quasi mai.

Per quanto riguarda gli stipendi, un autista di linea prende qualcosa come 1200 euro (netti), a volte pure meno, a volte di più. Questo come base, poi lo stipendio può crescere anche di un bel po’ a seconda dei turni e di molte altre voci. Ma anche fossero 1500, data la cifra da sborsare per le patenti el’avere responsabilità enormi, qualcuno prima d’intraprendere questa carriera ci pensa bene. E’ vero che non si sporca come ad esempio accade ai camionisti, e magari lavora meno ore di un operaio. Ma stiamo parlando di 6, 6.30 ore, che nel traffico cittadino non sono mica poche. Inoltre si è comunque impegnati di più, perché per la legge non si può guidare così tanto di fila. In altri casi, anche ammesso che siano sei ore, bisogna vedere come sono distribuite. Potrebbero essere poche ore ma spalmate in tutta la giornata perché il servizio richiede così. Di conseguenza stiamo parlando di 6 ore di guida ma con una disponibilità che magari è doppia, in termini di tempo. Anche qui c’è spesso molta differenza tra piccoli e grandi.

Qualche proposta

Come risolvere tutti questi problemi, sia quelli che riguardano le aziende, sia quelli che riguardano gli autisti? Per le prime non c’è molto da fare, nel senso che per fare qualcosa devono avvenire cambi strutturali, anche a livello europeo. Per quanto riguarda solo l’Italia, va assolutamente abbassata la tassazione, e anche di un bel po’. Così come vanno calmierati i costi. Per giunta almeno per quanto riguarda questi ultimi, la recente pandemia ha peggiorato il tutto. Un’impresa che deve pagare a vario titolo una cosa come il 60% di tasse è ovvio che possa avere problemi a garantire stipendi adeguati. Potrebbe avere problemi a garantire stipendi anche non adeguati, tra l’altro.  Su questo non c’è praticamente nient’altro da dire. L’aumento dei costi è l’altra enorme questione. Ci vuole un intervento serio che fissi almeno dei limiti.

Un imprenditore che compra un camion (o 10) non può non sapere quanto pagherà di gasolio e autostrada (per citare le due voci più immediatamente comprensibili) tra un anno. Come fa a calcolare le tariffe da chiedere e quindi il suo guadagno? Come può sapere quanto potrà investire per ampliarsi o rinnovarsi? Se il mezzo al chilometro costa tot a gennaio ma a giugno costa (esempio) il 10% in più, quella cosa diventa un problema. Nel senso che l’incremento non è uno, è il 10% di quel periodo, ma nel periodo seguente magari aumenta di un altro 10%. E’ vero che le imprese scaricano l’Iva, magari a volte hanno sovvenzioni e sgravi fiscali, però viene comunque difficile prevedere le entrate e quindi fare dei piani d’investimento, così come decidere aumenti di stipendio al personale. E’ un problema questo che hanno soprattutto i più piccoli.  Come può un datore di lavoro aumentare uno stipendio in base a degli introiti che poi variano al ribasso?

Per fare un esempio recentissimo, è aumentato spropositatamente il costo dell’energia (quindi banalmente il costo del “capannone”), in pochissimi mesi. Per farne un altro di esempio più mirato sui mezzi, è aumentato anche il costo del gas, quello chiamato LNG. Diverse aziende negli ultimianni hanno investito proprio in automezzi alimentati in questo modo pensando di risparmiare ed inquinare meno. Quindi cercando anche di fare qualcosa di virtuoso. Se non si possono fare previsioni di spesa (e quindi di guadagno), è abbastanza complicato pensare ad uno sviluppo. Per giunta come già detto in precedenza, spesso si lavora con tariffe abbastanza risicate.

Il cabotaggio

Un altro problema (non solo italiano), come già detto, è il cabotaggio, ovvero quella pratica che consente alle aziende residenti all’estero di lavorare in altri stati e fare trasporti interni. La UE lo ha limitato, ma il problema rimane, per la storia della differenza del costo del lavoro. O si elimina il cabotaggio (eliminando quindi pure quello illegale di conseguenza) o se lo si vuole tenere (cosa che va benissimo), bisogna almeno stabilire delle tariffe minime a livello europeo sotto le quali le imprese non possano lavorare. E queste tariffe devono essere calcolate prendendo a misura i paesi che hanno un costo del lavoro perlomeno medio. Perché se si prende quello più basso, s’impoveriscono tutti gli altri.

Se poi in uno stato specifico il costo è troppo alto sarà ben quello stato a provvedere ad abbassarlo, questo però è un altro discorso. Fino a quando ci saranno enormi differenze di spesa tra aziende che operano nello stesso luogo è chiaro che chi spende meno (ad esempio pagando molto meno gli autisti ed in generale i dipendenti) sarà sempre enormemente avvantaggiato. E’ ben strano che in un determinato paese sia più conveniente lavorare per uno che viene da fuori.  Che sia uguale per tutti, almeno. Queste tariffe minime tra l’altro dovrebbero automaticamente adeguarsi al costo della vita. Se aumentano i costi devono aumentare pure le tariffe.  Sennò si va sempre al ribasso. Oppure bisogna calmierare i costi, che non possono crescere continuamente.

Costi minimi dell’autotrasporto

Non riferendosi solo al cabotaggio, qualcosa in Italia esiste, si tratta dei cosiddetti “costi minimi dell’autotrasporto”. I succitati sono stati oggetto di varie sentenze, delibere, circolari, decreti, anche a livello europeo, da almeno 10 anni. Il sistema però si basa su un principio difficilmente scalfibile, ovvero quello della “libertà negoziale” (“natura non cogente”). Cioè? Cioè deve essere garantita la possibilità di trattare il prezzo tra chi fornisce il servizio e chi ha bisogno dello stesso.  Anche qui però c’è una bella differenza tra piccoli e grandi. Se il primo è il fornitore e il secondo quello che ha la necessità, il potere negoziale del primo, nei fatti, difficilmente sarà pari a quello del secondo. Insomma, facilmente c’è poco da trattare. Stanti i costi minimi, o prendi o lasci. E se lasci ne arriva subito un altro.

A parte questo, in relazione all’argomento,l’Italia si è mossa decisamente bene, almeno a livello di principio. Nel senso che ha recentemente stabilito che è possibile limitare la stessa libertà negoziale in favore appunto del principio più generale di sicurezza della circolazione. Autisti più formati e meglio pagati, mezzi con manutenzione regolare e via dicendo. Questo dovrebbe garantire tale principio. Come al solito però ci sono due ordini di problemi: le verifiche e l’informazione. Nel primo caso, chi controlla e quanto che i costi minimi vengano sempre rispettati? Nel secondo caso, quanti trasportatori “padroncini” sanno di potersi avvalere della questione dei costi minimi? E chi li conosce è sempre in grado di farli rispettare? E’ evidente che siano domande da porsi.

Come incentivare la professione

Per quanto riguarda la mancanza di autisti, come detto tanti hanno proposto soluzioni varie, da contratti ad hoc per i giovani, a decreti appositi per accogliere manodopera straniera, all’eliminazione della CQC. Ma queste iniziative servirebbero davvero? La risposta immediata è sì. Ovvero, avere più manodopera è chiaro che ridurrebbe il problema. In entrambi i casi aumenterebbe la popolazione disponibile, per usare un termine statistico. Il dubbio però è che queste soluzioni possano essere temporanee. Nel senso che certamente aiuterebbero a sopperire alla mancanza di autisti nel breve periodo, ma poi? Chi se ne va lo fa perché ritiene di avere uno stipendio troppo basso o perché per lui la qualità di vita è troppo scadente (sia rispetto allo stipendio che in assoluto). Vi è quindi certamente un problema di quantità di autisti disponibili risolvibile anche nei modi sopra indicati, ma ce n’è anche un altro che riguarda il riuscire a convincere gli autisti a continuare a fare questo mestiere. A non abbandonarlo dopo pochi anni, altrimenti il problema di ripresenterà, prima o poi.

Come migliorare la qualità di vita e di lavoro degli autisti

Passiamo ai problemi degli autisti, li abbiamo lasciati per ultimi ma non certo per importanza. Cosa fare per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro? Anche qui molti degli interventi da fare sono strutturali, però alcuni sono oggettivamente complicati, altri invece sarebbero molto più facili. Ci sono delle incongruenze che non si capisce perché ancora esistano. Prendiamo la cosa più facile. In un altro paragrafo abbiamo accennato ad un autista merci che può aspettare anche 8 ore per il carico o lo scarico. Se questa cosa succede di giorno, significa stare sotto il sole per tutto quel tempo lì, a volte scaricarsi pure il camion e poi guidare. Abbiamo anche detto che ci sono dei mezzi che hanno il condizionatore per la cabina, che funziona a motore spento. Ma sono relativamente pochi. Ecco, perché questo dispositivo non è mai stato reso obbligatorio? La situazione è piuttosto strana. I camionisti dormono sul mezzo sia d’inverno che d’estate. Chi lavora di notte addirittura dorme di giorno.

Per il freddo c’è il webasto, che hanno tutti ed è obbligatorio. Per il caldo questo discorso sembra non valga. Pare si presupponga che l’autista soffra il freddo ma non il caldo. Perché? Negli anni i camion sono diventati sempre più sicuri, anche grazie all’introduzione di dispositivi intelligenti, quali l’antisbandata e una specie di “autofreno” (anticollisione), vale a dire che il mezzo se percepisce un ostacolo e il guidatore non frena, lo fa il mezzo stesso, autonomamente. Fantastico, ma proviamo a ragionare: il condizionatore da fermo non è un dispositivo di sicurezza? Certo, tecnicamente non lo è, visto che è considerato un optional, ma per un uomo stare a 40 gradi per ore e poi prendere in mano un mezzo che può arrivare ad oltre 46 tonnellate e guidarlo non è rischioso? Soffrire tutto quel caldo non stanca? Non abbassa la soglia di attenzione? Non rallenta i riflessi?

Tra l’altro non sono necessarie 8 ore per presupporre questo rischio, ne bastano 2 nei periodi più caldi dell’anno. Perché non è mai stata fatta una norma specifica? E’ vero che esiste il Testo unico sulla sicurezza, ma dà indicazioni che sono generali, non c’è scritto da nessuna parte che quel dispositivo debba essere obbligatorio. Volendo spingerci oltre, perché, visto che non ci pensano i governi, o le aziende, non lo fanno direttamente le case costruttrici (tutte, però)? Per loro sarebbe anche più facile, in sede di produzione. Se d’estate ci si ferma in un’area di servizio e si notano dei camion fermi col motore acceso per molto tempo, spesso il motivo è quello. Si tiene acceso il condizionatore “standard” quello che funziona col motore. Alcuni ci dormono proprio col motore acceso (cosa che però è vietata), tutta la notte, o tutto il giorno. Un provvedimento del genere, semplicissimo da adottare in un modo o nell’altro, migliorerebbe di molto la qualità della vita di moltissimi autisti ed influirebbe positivamente sulla sicurezza, ancor più per chi lavora di notte che è costretto a dormire di giorno. Difficilmente però se ne sente parlare.

Parcheggi attrezzati

Un’altra cosa più strutturale è la disponibilità dei parcheggi attrezzati. In autostrada le aree di servizio, attrezzate lo sono mediamente, ma su alcune direzionali sono troppo poche e troppo piccole per il numero di mezzi circolanti. Così i camionisti sono costretti a parcheggiare fuori dagli spazi appositi (rischiando una multa), e talvolta devono optare per fermarsi nei parcheggi di emergenza (quindi senza alcun servizio disponibile) perché “nell’autogrill” non c’è più posto. Ricordiamoci che hanno dei tempi di guida, non possono scegliere liberamente. Ad un certo punto devono fermarsi. Ora, con tutto quello si costruisce in Italia, come mai non si è in grado di produrre aree attrezzate in numero sufficiente, con bagni docce e magari anche almeno un piccolo bar e un guardiano,soprattutto fuori dalle autostrade? Cosa impedisce di costruirle? Questa operazione andrebbe fatta soprattutto dove i camion si affollano di più, ad esempio nei dintorni della A1 o della A4. In altri luoghi è effettivamente meno necessaria perché il traffico è minore.

Però ci sono anche zone “morte” dove non c’è nulla, che si potrebbero riempire. Nel caso, si potrebbero addirittura coinvolgere i ristoranti già esistenti, meta sicura dei camionisti, e aiutarli a sviluppare delle aree apposite (parcheggi, servizi igienici con docce in una certa quantità). In un’operazione come questa si potrebbero coinvolgere le varie federazioni di settore (anche quelle dei ristoratori), che potrebbero dialogare tra loro e fare un’iniziativa univoca, magari chiedere pure aiuti di stato, visto che sarebbe comunque per il benessere delle persone.

Tessere sconto

E ancora, si potrebbero prevedere tessere con degli sconti per gli autisti che, se proprio devono pagare (ma gratis sarebbe auspicabile), almeno pagherebbero un po’ meno. La cosa converrebbe sostanzialmente a tutti. L’iniziativa dovrebbe però essere una sola. Cioè non dieci tessere per dieci iniziative diverse, quindi da una parte si può fare la doccia e dall’altra no perché non si ha la tessera. Chi vive sulla strada non ha tempo per tutte ste differenziazioni. Deve poter fare quel che gli serve in fretta e bene. Se si riuscisse pure ad aumentare gli stipendi non farebbe certo schifo, ma in mancanza di questo, fare sì che si possa usufruire di servizi adeguati risparmiando, avrebbe più o meno lo stesso effetto. Non si guadagna di più, ma si spende di meno. Pagare una cena 8 euro al posto di 15 grazie ad un sistema di sconti sostenuto dal pubblico a anche da un network di imprese private fa comunque la diffeernza. Il tutto potrebbe essere ormai gestito tramite un’app. Una mappa coi nomi dei posti, navigatore annesso e via. Certamente un po’ ardita come proposta, ma perché no?

La questione delle responsabilità

Prima abbiamo parlato delle sanzioni. Abbiamo detto che quasi sempre è tutto a carico (anche) dell’autista  Ecco, anche qui c’è un discorso serio da fare. Perché è così? Se la velocità massima possibile è 85 ma chi guida va a 90 (o più) è colpa sua. Lo sa che deve andare a 85 e la multa la deve pagare lui. Se viaggia con la revisione scaduta, pure lì è colpa sua. Deve controllare anche l’impresa, ma sul mezzo c’è lui, ha la responsabilità di sapere se perlomeno i documenti standard siano in regola o meno. Se fa sorpassi azzardati, guarda il cellulare o “stupidate” simili, sempre colpa sua è. E’ lui che prende quelle decisioni, Quindi ci mancherebbe pure che non pagasse.

Se invece viola i tempi di guida il discorso può essere lo stesso, ma anche no. Perché? Per il fatto che ad un dipendente difficilmente conviene violarli, per quale motivo dovrebbe farlo? Magari per tornare a casa al posto di dormire fuori, ok, però è facilmente dimostrabile. Ci possono essere sicuramente altri casi, ma non sono molti. E comunque l’azienda è tenuta a controllare tramite lo scarico dei dati pressoché ogni mese.Quel che si vuole dire è che violare i tempi per fare un carico o uno scarico in più, solitamente non conviene ad un semplice dipendente.

Quindi perché deve pagare lui che tra l’altro è magari obbligato per vie traverse, come risulta a volte da inchieste? Se il datore di lavoro non cambia le gomme per quale ragione la sanzione viene data all’autista? Come potrebbe mai fare a cambiarle lui? Certo, quest’ultimo ha il dovere di avvisare, e se non lo fa allora sì che è responsabile. Non si può mica pretendere da un’azienda che controlli ogni giorno tutti i mezzi. Non c’è nemmeno il tempo materiale per farlo, questo è ovvio. Ma una volta che l’autista ha dimostrato di aver avvisato,in quale altro modo potrebbe agire?Tra l’altro chi rischia, andando in giro con gomme non ottimali, è proprio l’autista, per quale ragione dovrebbe mai volerlo? Gli viene sostanzialmente data una colpa (e quindi una sanzione) che non ha e che non vuole.

La Legge sui riposi

E ancora: recentemente è stata introdotta una legge per la quale il riposo lungo (45 ore) non si può più effettuare in cabina (ne abbiamo già parlato). I datori di lavoro devono farsi carico delle spese che consentono all’autista di passare quel periodo in un posto adatto. Anche qui la situazione è particolare. Se questa cosa non accade (cioè il datore di lavoro non paga), viene multato l’autista e spesso anche l’azienda. Ma perché il primo viene multato? E’ come sostenere che chi guida voglia passare il riposo lungo sul camion al posto che in un albergo. Chi mai vorrebbe farlo?

Sostanzialmente esistono una serie di sanzioni a carico dell’autista che sarebbe forse il caso di rivedere. Alcune sono sacrosante, ma altre danno a quest’ultimo una responsabilità e una colpa che difficilmente sono sue e che non ha alcun modo per evitare. Per quanto riguarda le sanzioni c’è anche un discorso da fare che è legato alla CQC. La Carta professionale estende per gli autisti i punti della patente da 20 a 40. Ovvero ne hanno il doppio di un guidatore normale. Se un autista fa un’infrazione intanto che conduce il suo mezzo da lavoro, i punti (eventuali) gli vengono tolti dalla CQC e non dalla patente, salvaguardando quest’ultima. Questa cosa è stata prevista proprio perché chi guida per lavoro lo fa molte ore in più rispetto a chi guida l’auto normalmente. Solo che la proporzione non regge.

Normalmente si usa l’auto per andare e tornare dal lavoro. E al massimo fare qualcosa d’altro nei dintorni (andare in un centro commerciale ad esempio), ma si tratta di operazioni che possono richiedere stando piuttosto larghi due, tre ore al giorno. L’autista professionale può guidare anche 10 ore. Quindi ha sì il doppio dei punti, ma di solito è alla guida il triplo o il quadruplo del tempo di uno che l’auto la usa quotidianamente un bel po’. E per giunta fa quasi sempre strade che non conosce o dove passa una volta ogni tanto, con tutti i rischi del caso. Inoltre non tutti quelli che usano l’auto lo fanno tutti i giorni. Quindi uno che la usa una volta alla settimana per andare al ristorante e guida 20 minuti ha la metà dei punti di chi guida 9 ore al giorno tutti i giorni. Ci sarebbe da pensare anche a questo, un’estensione dei punti della patente professionale basata sul reale rapporto tra le ore di guida di un utente normale e di un autista professionale.

Quando c’è qualche incidente grave con morti e feriti ed è coinvolto un mezzo pesante (o più di uno) spesso si parla di “bombe su strada”. Ecco, il fatto è che bisognerebbe chiedersi anche il perché queste bombe siano tali, ammesso che lo siano. Con alcuni provvedimenti ad hoc, dimostrando magari un certo interesse per la categoria, molte di queste bombe potrebbero essere facilmente disinnescate. Bisognerebbe sempre pensare che l’autista è comunque un essere umano. Oltre a tutti i problemi descritti fin qui, ne può avere di personali. Una moglie che non sta bene, un figlio con problemi a scuola.

Come tutti, solo che lui ha in mano un bestione che, o trasporta persone con tutta la responsabilità del caso, o trasporta merci (e però è molto più pesante del primo). Lo stress su chi fa questo lavoro dovrebbe essere ridotto il più possibile. Per la stessa natura del lavoro che fa. Anche questo incide fortemente sulla qualità della vita. E quindi sul decidere se continuare a fare questo lavoro o no.

Conclusioni

Alla luce di tutto quanto scritto, molto più in generale, bisognerebbe stabilire cosa diavolo sia davvero un autista professionale. E’ un manovale o un professionista? Perché nel primo caso va benissimo uno stipendio medio, ma allora bisogna scaricarlo da qualsiasi responsabilità e qualsiasi costo che non riguardi meramente il lavoro svolto (cioè guidare). Se non è un professionista perché dovrebbe pagarsi la CQC che è una carta professionale? Di più, perché mai dovrebbe averla? Inoltre deve anche lavorare le ore che lavora un manovale, un operaio, quindi non più di otto salvo straordinari. Se invece è un professionista, va benissimo che si prenda tutte le responsabilità del caso, che sostenga i costi e che lavori tutte quelle ore, ma allora bisogna dargli il potere reale di contestare proprio le responsabilità che non attengono a lui e soprattutto fornirgli uno stipendio adeguato, contributi compresi. In questo momento l’autista professionale appare essere in una sorta di limbo, in cui ha un sacco di incombenze di vario tipo ma non molti riconoscimenti sia economici che, per così dire, umani.

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