Chiedere un aumento perché si svolge meglio di altri il proprio lavoro è sacrosanto. A volte però non arriva lo stesso. I motivi sono tanti e non sempre sono negativi.
Quante volte ci si è fatti questa domanda? Si lavora bene, ci si ferma anche più del dovuto, si è sempre pronti a dare una mano a tutti anche a chi non lo meriterebbe, e nelle cose che si fanno ci si mette costantemente un’attenzione maniacale, al punto che, spesso, si arriva a casa sfiniti o quasi. Eppure, i soldi sono sempre quelli, perché? Che diavolo si fa a fare tutto questo se poi quando si decidere ci chiedere un aumento il merito non viene riconosciuto proprio da chi si cerca di aiutare anche al di fuori del proprio mero dovere? Bella domanda, anzi, ottima; proviamo a rispondere.
Indice
Perchè viene rifiutato un aumento
La questione è fortemente sentita soprattutto nelle aziende medio-piccole, il cosiddetto tessuto economico del Paese, in cui molto spesso, se non sempre, esistono figure “tuttofare” sulle quali il titolare si appoggia, magari non completamente ma quasi. Queste figure, anche se non formalmente, sono di assoluto riferimento nell’azienda, ma molte volte non guadagnano più di altri dipendenti che fanno di meno (legittimamente, quando il proprio lavoro lo portano a termine) e non hanno nemmeno un ruolo differente. Qual è la ragione di una simile ingiustizia? E ancora prima, è davvero un’ingiustizia?
Rispondere è decisamente complicato. Capire perché un dipendente che fa più di un altro non guadagni di più e magari riceva risposta negativa al suo chiedere un aumento è impresa assai ardua. Psicologicamente la questione è infatti piuttosto pesante. Ma un titolare può avere mille motivi per comportarsi così. E non è per niente detto che siano sbagliati o dettati da menefreghismo o sfruttamento. Quali? Vediamone alcuni.
L’azienda è in salute?
Se è vero che un piccolo aumento di stipendio su un bilancio aziendale può contare poco o nulla, è anche vero che non siamo più negli anni 80 del secolo scorso quando “i soldi” giravano facilmente. Il titolare di un’azienda piccola ad esempio, potrebbe guadagnare quanto, se non di meno dei suoi dipendenti, che deve pagare perché ne va della vita dell’azienda. Prima paga loro, poi paga se stesso. Il resto, se c’è, lo accantona. Per investire, o per i tempi bui. Ovvero tempi in cui potrebbe vedersi costretto a pagare gli stipendi dei suoi dipendenti senza che la mole di lavoro di quel momento riesca a coprire quei costi. Avere uno stipendio più o meno fisso, oggi come oggi non è più così scontato come una volta. Questo vale per i dipendenti ma anche per gli imprenditori, soprattutto quelli più piccoli, sempre alle prese con contratti “difficili” e soggetti a volt ad interruzioni improvvise ed immotivate. Se, poi, quel “resto”, dovesse decidere di tenerselo per se, beh anche il quel caso bisogna capire che è un suo diritto.
Il capo è anche lui un essere umano
Tante volte per quel che si fa sul posto di lavoro, per l’impegno e la dedizione dimostrati costantemente, si pensa di avere più diritti degli altri. Si potrebbe pure rispondere che sì, è vero, bisognerebbe averli quei diritti, o meglio quei riconoscimenti in più, è una pura questione meritoria. Però, la promozione non arriva lo stesso e l’aumento neanche. Il vostro è un cattivo capo o uno sfruttatore? Potrebbe essere, ma potrebbe anche essere che sia semplicemente “umano” e sbagli.
Tutti per uno, uno per tutti
Soprattutto nelle ditte piccole, stritolate spesso da costi proibitivi, concorrenza più o meno sleale, e svariati altri problemi per niente trascurabili, è quanto mai necessario perseguire costantemente il lavoro di squadra. Tutti per uno e uno per tutti. Anche in una squadra però, c’è sempre quello che emerge. Lo può fare per ambizione, ma prima ancora lo fa per carattere. Può essere forse un po’ ingiusto nei confronti di questa persona, ma come spiegare agli altri dipendenti (che devono lavorare in squadra) perché un altro dipendente, con stesse mansioni e medesimo ruolo prende più di loro? Il team working probabilmente ne risentirebbe non poco, perché prima o poi si verrebbe a scoprire, in qualche modo. Va anche detto anche che, quasi sempre, chi emerge di suo viene più o meno premiato in modi differenti, se non altro per non rischiare di perdere, da parte dell’azienda, quel plusvalore che fornisce quotidianamente al lavoro.
Cambiargli ruolo, no?
Al punto di prima, molti potrebbero obiettare che, “ok, puoi aver ragione, ma allora basta cambiargli il ruolo e quindi anche lo stipendio”. Si, certo, ma al punto di prima si è parlato anche del team working. Cambiare l’equilibrio dei rapporti umani all’interno di un ambiente di lavoro può essere controproducente, far nascere invidie e gelosie. Un titolare questo lo evita come la peste, sempre. E ha ragione. E poi, quando i responsabili sono troppi, non va mai bene.
La soluzione è impegnarsi di meno?
No, decisamente no. Perché? Perché, come abbiamo accennato prima, al dipendente (o ai dipendenti) più meritevole, qualità e impegno vengono riconosciute molto spesso in altri modi. Ad esempio, se quest’ultimo fa un errore, il più delle volte non viene né sanzionato né rimproverato. Per due ragioni:
- La prima è che l’imprenditore sa che andando contro per problemi di poco conto ad un lavoratore che mette l’anima in quello che fa potrebbe indurre quest’ultimo a “tirarsi indietro”. Smetterebbe di chiedere un aumento magari, ma dato che “più si lavora, più si rischia di sbagliare” e, “spaventato” dalla sanzione, potrebbe tirare i remi in barca e pensare “va beh lavoro meno, così sbaglio meno e nessuno mi rompe le scatole”.
- La seconda è che è ingiusto adottare lo stesso metodo di giudizio per chi lavora di più e per chi lavora un po’ meno. Il primo fa più cose, ma è anche più stanco, è più soggetto ad errori e va quindi valutato con un altro occhio. Se un titolare non fa questo, si auto danneggia.
Un altro modo in cui un imprenditore serio riconosce al dipendente più impegnato i suoi meriti risiede nella protezione dello stesso. Il caso più pesante è quello in cui si verifichi un calo importante di lavoro che costringa suo malgrado l’azienda a lasciare a casa qualcuno. Ecco, il dipendente intraprendente, sarà certamente tra gli ultimi ad essere lasciato a piedi. Ci può essere un motivo etico (ovvero tu mi hai aiutato e io ti ripago così), ma soprattutto c’è un motivo concreto: in tempi di ristrettezze lavorative, poche commesse e magari pagate poco, la necessità assoluta è che ci sia (almeno) una figura oltre al “capo” che si faccia carico do una mole di lavoro maggiore di quella standard, o peggio ancora di quella minima necessaria. Il primo, non rinuncerà mai e poi mai alla seconda, che contrariamente ad altri conserverà uno stipendio il più a lungo possibile.
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