Chi è e cosa fa un imprenditore? Cosa succede durante una giornata di un titolare d’azienda? E’ vero che gode di una maggiore libertà rispetto ai suoi dipendenti? Di solito, non è proprio così.
In Italia con la crisi che dura ormai da quasi dieci anni, sono stati persi centinaia di migliaia di posti di lavoro dipendente. Una delle conseguenze dirette è stata quella di constatare che molti tra quelli che si sono ritrovati senza lavoro si sono buttati nell’imprenditoria, aprendo una Partita Iva o mettendo su un’azienda, quasi sempre individuale o a conduzione familiare. Su questa categoria c’è poco da dire, coraggio assoluto, pur dettato dal contesto. Non tutti quelli che scelgono di fare gli imprenditori però sono obbligati dalla crisi. Vi è infatti un mito che circonda la figura dell’imprenditore, quello che lo fa apparire come completamente libero, essendo capo di se stesso. Insomma, se voglio lavoro, altrimenti no. E i ritmi li decido io. Ma fare l’imprenditore sarà davvero così?. Beh, la risposta è piuttosto semplice, ed è questa: “Col cavolo!”
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Una giornata di 48 ore, se non di più
Contrariamente ad un dipendente che guadagna solitamente di meno ed è obbligato, a vari livelli, a seguire degli ordini, un imprenditore la cui attività sia in buona salute può contare su entrate più consistenti, anche di molto, rispetto ai suoi sottoposti. Il dipendente però lavora “solamente” un certo numero di ore (solitamente 8, ma possono essere di più, o di meno), mentre la giornata lavorativa dell’imprenditore non finisce praticamente mai. Se un giorno durasse 48 ore, a chi paga gli stipendi, servirebbero tutte. Non si tratta di essere solidali con gli imprenditori o di farne addirittura delle vittime, sono banali dati di fatto. Mentre il dipendente ha dei compiti precisi, quelli dell’imprenditore di compiti sono fondamentalmente tutti quelli esistenti in un’azienda. Per questo la sua giornata non finisce mai (e per questo anche guadagna molto di più, anche se a onor del vero si fa contestualmente carico dei costi).
Un titolare d’azienda che tenga alla sua impresa, è costantemente sul posto di lavoro (se l’attività prevede una sede fissa) controlla sempre tutto ciò che accade di persona. Oltre a questo, riceve decine e decine di chiamate al giorno, tutte differenti. Possono essere di natura amministrativa, legale, legate ad aspetti gestionali, economici, commerciali, fiscali o problemi meramente pratici, che certo non hanno minore importanza. Stesso discorso vale per le mail, alcune delle quali riesce a vedere solo in tarda serata o di notte. E per poter sopravvvivere, deve riuscire a trovare una risposta, una soluzione a tutto. Insomma, il mito della libertà è appunto un mito per il 99% degli appartenenti alla categoria.
Intendiamoci, è verissimo che in ogni momento della sua vita, un imprenditore può decidere di prendersi una giornata, due, o anche una settimana di “ferie” (che però deve pagarsi da solo). Nessuno, di fatto lo obbliga, ne può obbligarlo, a restare sul posto di lavoro e continuare l’attività. Ma dell’assenza di un titolare, soprattutto in un’azienda piccola ci si accorge subito nella stragrande maggioranza dei casi. D’altra parte l’attività è sua, nessuno più di lui è interessato all’andamento degli affari, nessuno più di lui si preoccuperà di risolvere i problemi. Nessuno più di lui cercherà di evitarli e di far andar bene le cose. Lo farà anche se in non perfette condizioni fisiche: con la febbre, il mal di testa, il mal di denti e qualsiasi altro problema fisico non sia così debilitante da costringerlo a letto o quasi.
Eroe? No, il fatto è che i soldi sono suoi
Detto che in Italia e nel mondo operano una miriade di imprenditori dalla forte impostazione etico-sociale,ovviamente non tutti sono così. Non sono costretti ad esserlo ed almeno altrettanti quindi lavorano esclusivamente per il profitto. Assolutamente nulla di male, perlomeno fino a quando non escono da ciò che la legge loro consente. D’altra parte fare l’imprenditore significa guadagnare, la natura stessa dell’attività si basa sul profitto e proprio per questo non c’è niente di strano in chi mette in piedi un’azienda al solo fine di produrre utili da destinare a se stesso. Sia i primi che i secondi sono però accomunati da un’unica caratteristica. I soldi, che hanno investito, che hanno speso e di cui si sono privati (fatti salvi eventuali fondi terzi), sono i loro. Il rischio è infatti caratteristica necessaria ed irrinunciabile di questa figura. Se la barca affonda insomma, il primo a rimanere da solo in mezzo al mare è proprio l’imprenditore.
Dal paragrafo precedente, sembrerebbe emergere una sorta di eroe dei nostri tempi, che lavora come un forsennato per il bene comune prima ancora che per il suo. Beh, certamente non è proprio così, o perlomeno non è solo così. L’imprenditore si preoccupa prima di tutto dei suoi soldi, dei suoi beni, che a ben vedere possono essere in prima istanza anche i risparmi di una vita, oppure i frutti della vendita di una casa di proprietà o di altri beni. Senza quelli, non campa lui e non campa nemmeno la sua famiglia. Un po’ come quando un dipendente perde il lavoro e non sa se ne troverà un altro.
Certo, anche in questo c’è una differenza fondamentale: mentre il lavoratore subordinato il massimo che rischia è di perdere il lavoro (che resta un assoluto dramma, ma che oggettivamente si ferma a quel livello), un imprenditore che fallisce, ad esempio, può perdere anche la propria casa e tutto ciò che possiede, anche se stiamo parlando del caso peggiore possibile. Uno insomma rischia un qualcosa che non ha creato lui e il suo rischio si ferma lì. L’altro può arrivare a “giocarsi” la sua intera esistenza economica, e quindi anche quella sociale, a meno che sia riuscito durante “gli anni buoni” a mettere via un gruzzolo considerevole, cosa che potrebbe riuscire a fare, contrariamente alla maggior parte dei suoi dipendenti (che hanno uno stipendo fisso di entità variabile, ma mai paragonabile a un utile aziendale, se si escludono eventuali figure apicali).
Vuoi fare l’imprenditore? Rileggiti bene i due paragrafi precedenti!
Sfatiamo il mito della libertà assoluta. Se a qualcuno questo post fino a qui sarà sembrato una celebrazione della figura dell’imprenditore, beh, lo scopo era, fermamente, un altro. In specifico era quello di far riflettere su cosa sia e come viva, concretamente, chi fa impresa. Se è vero che gode di indubbi vantaggi, è altrettanto vero che la cultura del lavoro che lo deve contraddistinguere è totale e totalizzante, anche suo malgrado, a volte. Altrimenti nel medio periodo il destino che lo aspetta è probabilmente quello di venire superato prima e surclassato poi da altri. Deve voler lavorare, ma è anche costretto a farlo, come e più dei suoi sottoposti. Chi quindi dovesse decidere di iniziare un’attività in proprio che presupponga l’apertura di un’azienda di qualsiasi tipo, è meglio si accerti di essere, per così dire, il tipo giusto e soprattutto non credere che essere capi di se stessi significhi fare un po’ quello che si ha voglia. Questo, per la ragione espressa poco fa: i soldi non piovono dal cielo ma sono di chi ha investito e una volta persi, una seconda possibilità potrebbe anche non esserci.
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