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Le aziende mettano a disposizione gli alloggi

Le aziende potrebbero mettere a disposizione degli alloggi per incentivare il trasferimento dei lavoratori quando necessario

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Una volta le aziende erano anche proprietarie di case e alloggi. Che possa essere questa una parte della soluzione alla disoccupazione? E’ di questi giorni la polemica sulla fine del Reddito di cittadinanza così come lo abbiamo conosciuto. In realtà una misura di aiuto è rimasta e si chiama Adi. Ma non è esattamente la stessa cosa. La nuova legge distingue tra occupabili e non occupabili. I secondi sono i destinatari dell’Adi, ma i primi sono tenuti ad andare a lavorare. Questo ammesso che però un lavoro lo trovino. L’sms appena spedito dall’Inps a 169.000 persone ha creato un allarme sociale, anche se va detto che il provvedimento era previsto almeno da settembre 2022. C’è da aggiungere che l’idea iniziale era quella di togliere interamente il Reddito di cittadinanza, la cosa poi invece è rientrata. Le modifiche sostanziali impongono però a chi non percepisce più il Reddito o il suo sostituto di andare a lavorare, già ma dove?

Il mancato incontro tra domanda e offerta

La distinzione tra occupabili e non occupabili non è l’unica da fare. Tra chi può andare a lavorare ci sono infatti quelli che il lavoro lo trovano e quelli che invece non ci riescono pur cercandolo continuamente E’ palese che tra chi prendeva il Reddito c’erano anche i fannulloni, così come però è altrettanto palese che tanti senza di esso non sanno come cavarsela. In sostanza, andare a lavorare non è solo una scelta, si può decidere di farlo o di non farlo, ma nel primo caso ci vuole anche qualcuno che un mestiere te lo dia. Qui entrano in gioco vari problemi, uno di questi, molto forte, è il mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ovvero, chi vuole lavorare non trova un posto, mentre chi offre un posto non trova il lavoratore. Perché accade? I motivi sono tanti uno è sicuramento quello che riguarda il cercare un lavoro e trovarsi nel posto sbagliato.

Facciamo un esempio: un’azienda meccanica della Brianza (in Lombardia) cerca 5 operai specializzati, mentre un’azienda di ceramica di Modena cerca 5 addetti. In Italia esistono sia gli operai specializzati che gli addetti al lavoro con la ceramica, ma nessuno di loro è in Brianza o a Modena. I 5 operai si trovano invece sparsi per tutto lo stivale ed i 5 addetti pure. Così questi 10 potenziali lavoratori restano tali e continuano a cercare un lavoro che nelle zone in cui abitano non c’è. Potrebbero essere assunti subito se si trovassero nel posto giusto, invece le due aziende soffrono le mancanze perché chi potrebbe lavorare è troppo lontano. Quindi quel che si verifica è che chi può lavorare resta disoccupato (domanda) e chi offre dei posti resta senza lavoratori (offerta). Questo è il classico esempio di come la domanda e l’offerta spesso non riescano a combaciare. Se estendiamo il panorama appena descritto a tutta Italia, si capisce come questo sia un problema assolutamente rilevante. Già ma come risolverlo? Va detto che se lo stipendio è buono tanti sono anche disposti a trasferirsi, ma qui sorge un altro problema, quello che riguarda il costo delle case e degli affitti.

Affrontare un mutuo è ormai improponibile per molti ed anche gli affitti spesso hanno costi esorbitanti (a seconda delle zone). Se ci si trasferisce per pagare 1000 euro di affitto su uno stipendio di 1500 è ovvio che il gioco non valga la candela. Quindi una soluzione potrebbe essere una vecchia pratica ormai abbastanza in disuso, aggiornata alle esigenze attuali. Negli anni del boom economico italiano, ma anche dopo, non era raro che le aziende grosse possedessero delle case, a volte interi condomini auto-costruiti. Adesso una situazione del genere potrebbe risultare troppo onerosa per i lavoratori, ma nulla vieta alle aziende, anche quelle medie o piccole, di mettere a disposizione degli alloggi, come delle stanze con bagno e cucina a prezzi bassi per favorire il trasferimento dei lavoratori e quindi l’incontro tra domanda e offerta.

Nel settore dei trasporti ad esempio questa pratica non è così fuori dal comune. Capita infatti non di rado di vedere annunci di lavoro che presuppongono anche un piccolo alloggio per il camionista che, abituato com’è a viaggiare, non disdegna di trasferirsi dall’altra parte del Paese pur di conquistare un lavoro. Ovviamente anche in questo caso per il lavoratore deve valerne la pena, quindi il cosiddetto affitto dovrebbe essere a prezzi agevolati, in modo da permettere a chi si trasferisce di mantenersi e risparmiare qualcosa. Però l’idea è percorribile.

Incentivare la mobilità umana anche attraverso la disponibilità di alloggi aumenta la possibilità che un lavoratore possa soddisfare l’offerta. Questo diminuirebbe la disoccupazione e ridurrebbe la necessità di mantenere chi non trova lavoro nella zona in cui si trova, quindi tecnicamente farebbe anche risparmiare lo Stato. Per le imprese sarebbe un piccolo investimento atto a migliorare il sistema sociale ed economico, che tra l’altro gli ritornerebbe in due modi: sotto forma di affitto agevolato e attraverso il fatto di trovare i lavoratori di cui hanno bisogno. Una dimora a prezzi bassi vicino al posto di lavoro potrebbe chiaramente essere una buona soluzione e trasformarsi in una sorta di leva in grado di smuovere le risorse umane necessarie.

Un lavoratore disoccupato va ovviamente mantenuto ma è innegabile che sia un peso per lo stato. Un’azienda che non trova addetti ha quotidianamente perdite economiche anche importanti. Se si potesse mettere in pratica un sistema che preveda degli alloggi per i dipendenti, si riuscirebbero a ridurre di molto entrambi i problemi. Sostanzialmente è quel che già accade quando qualcuno si trasferisce affitta una stanza ad esempio in un’altra città, se ciò avvenisse attraverso l’intermediazione aziendale, i prezzi si ridurrebbero, così come probabilmente la distanza dal posto di lavoro, che è comunque un parametro da tenere molto in considerazione.

Si tratterebbe di un cambiamento culturale non irrilevante ma che negli anni potrebbe essere messo in atto in modo graduale. Ovviamente la disponibilità non deve essere da una parte sola, quella aziendale. E’ inutile mettere a disposizione degli alloggi se poi chi può andarci rifiuta di farlo. Non tutti possono trasferirsi ovviamente, ma chi può andrebbe incoraggiato a farlo. Quindi il cambiamento culturale di cui sopra dovrebbe avvenire da entrambe le parti. Le imprese andrebbero convinte a mettere a disposizione un servizio di questo tipo, ed i lavoratori convinti ad accettare determinate condizioni, quando sostenibili economicamente.

Un esempio pratico? Un lavoratore che per uno stipendio di 1200 euro netti accetti di trasferirsi dal Sud a Nord Italia (cosa molto più comune rispetto al contrario) una volta messa a sua disposizione una stanza con tutto il necessario ad un costo che non superi i 200 euro. Da un conto veloce si capisce come tolti i 200 euro della stanza ed un altro centinaio di euro per le bollette al lavoratore in questione resterebbero circa 900 euro per provvedere al suo sostentamento, ad alcuni svaghi e prevedere anche una cifra per il risparmio. E’ fuor di dubbio infatti che il costo degli immobili, che siano di proprietà o in affitto, sia comunque un forte freno alla mobilità intranazionale. E’ chiaro che non si può pensare che gli alloggi in questione risiedano in centro città, dovrebbero infatti restare piuttosto vicini al posto di lavoro perché chi dovesse scegliere di utilizzarli potrebbe non avere a disposizione un’auto, o comunque non subito. Ma per iniziare questa potrebbe certamente essere una soluzione sostenibile, a patto di qualche sacrificio.

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