Una delle più grandi battaglie politiche in questo momento in Italia è quella sul salario minimo. Discorso che abbiamo già affrontato sia dal punto di vista della sua giustezza o meno, sia dal punto di vista delle posizioni politiche, il salario minimo sta dividendo maggioranza e opposizione in maniera anche più netta del solito. Da una parte, quella della maggioranza, c’è chi sostanzialmente non ci crede, dall’altra, quella dell’opposizione, addirittura si è riusciti a raggiungere una proposta comune tra tutte le forze in campo, cosa che a dir poco si presenta come piuttosto rara. Ma che cos’è che torna sul salario minimo, ovvero cosa indica che la sua introduzione sia una necessità e sia anche moralmente giusta? E cos’è che invece non quadra? Quali problemi potrebbe portare? Vediamo di capirci qualcosa.
Proprio nelle ultime ore pare ci sia stata una mezza apertura della maggioranza sul salario minimo, maggioranza che però resta comunque molto ferma nel dire che sia una misura impossibile da approntare così, a cuor leggero. Non basta insomma dire, “aumentiamo i salari in modo che i dipendenti vengano pagati di più e non sfruttati come succede ora. Posizione questa che, al contrario, è esattamente quella dell’opposizione. La domanda è: è vero? Se si aumentassero i salari e si introducesse una soglia minima legale le persone guadagnerebbero di più? La risposta ideale è sì’ e tecnicamente è anche ovvia. Se prima un individuo viene pagato 5 euro e poi 9 il suo stipendio quasi raddoppia. E poco importa se chi ha sussidi tipo l’assegno unico rischierebbe di vederseli ridotti, il vantaggio ci sarebbe comunque. Ovvero prenderebbe meno di assegno unico (ad esempio), ma l’aumento del salario compenserebbe e supererebbe anche di molto questa perdita.
Torna tutto? Ecco, no. Nel senso che bisogna rendersi conto che un problema non è mai bianco o nero. In mezzo ci sono delle ben poco trascurabili sfere di grigio, più o meno scuro. Se è chiaro che passare da una paga oraria di 5 euro lordi (o anche di meno) ad una di 9 (la soglia proposta dai fautori del salario minimo) porti indubbi guadagni, così potrebbe non essere per chi ne guadagna 7 (e passerebbe a 9). C’è poi uno studio di Unimpresa che segnala come i lavoratori che prendono meno di 9 euro lordi l’ora siano meno dell’1% ed a questi il salario minimo a 9 euro riuscirebbe ad aumentare in media le loro entrate di circa 50 euro (netti), a fronte però di un aumento del costo del lavoro per le imprese molto significativo. Si potrebbe ribattere che 50 euro per chi ha uno stipendio molto basso non sono pochi (cosa assolutamente vera) e che non è un problema di questi ultimi l’aumento del costo del lavoro. Ma l’obiezione non regge dal punto di vista di quel che deve fare un governo, che chiaramente deve pensare un po’ a tutte le parti in causa, cercando di trovare la mediazione migliore.
Quindi sì, il salario minimo è una misura probabilmente necessaria, ma è fondamentalmente sbagliato dire che non porti alcun problema. Ed infatti ce ne sono anche altri: ad esempio esistono studi per i quali se ad un’azienda viene chiesto di pagare troppo (il costo del lavoro di cui sopra), essa potrebbe optare per qualcosa di più “informale”, ovvero fare contratti sbagliati oppure utilizzare direttamente il lavoro nero. Questo perché l’alternativa sarebbe quella di chiudere baracca e burattini. Quindi una situazione possibile è quella per la quale un numero imprecisato di dipendenti, numero che potrebbe anche essere alto, potrebbe ritrovarsi ancora con un lavoro, ma senza contratto, ovvero senza tutele. E questa sarebbe anche l’ipotesi migliore, nel senso che quella peggiore risiederebbe nel non avere più un lavoro a causa di una forte ristrutturazione o addirittura chiusura dell’impresa per la quale si opera.
Ovviamente bisogna anche dire che a quelli che pagano in nero per scelta dell’introduzione o meno del salario minimo non gliene frega assolutamente nulla, nel senso che fino a quando glielo permetteranno loro faranno sempre così. Questo vuol dire che salario minimo e lavoro nero non sono necessariamente legati. E anche che inserire una soglia minima di legge per la paga oraria non genererà l’esplosione del lavoro nero, anche se appunto potrebbe crearne delle sacche di entità non trascurabile, ma nemmeno risolverà il problema. E’ abbastanza comune pensare che se ci fosse un salario minimo sparirebbe il lavoro nero. Ecco, a parte l’ipotesi per la quale potrebbe addirittura aumentare, è proprio tecnicamente sbagliato pensare che sia così. Chi paga in nero lo farà a prescindere da qualsiasi nuova legge, perché appunto non rispetta la stessa legge.
Come è abbastanza chiaro, l’introduzione del salario minimo non è esente da problemi, anche gravi. Ciò non significa però che la cosa non vada discussa e si riesca in tempi ragionevoli a raggiungere un accordo che possa soddisfare un po’ tutti. Per farlo è necessario che le due parti in causa “cedano” entrambe un pezzetto del loro terreno, in modo da crearne uno neutrale sul quale incontrarsi. Fondamentalmente si tratta di una scelta politica attraverso la quale decidere chi aiutare. Il salario minimo, va detto, senza alcun dubbio favorisce quelli che sono nelle condizioni peggiori: facciamo un esempio forte. Una persona guadagna 4 euro l’ora lordi. Significa che se lavora 8 ore al giorno per 22 giorni e gli viene dato tutto quel che gli spetta porta a casa 704 euro al mese, sempre lordi. Ovvero non è quella la cifra che si porta a casa, ma è significativamente minore, tra tasse e contributi. Se il salario fosse invece (quello minimo presunto) di 9 saliamo a più del doppio, 1584 euro. Sarebbero comunque lordi, ma volete mettere? Sussidi o meno, su questa specifica questione, ammesso che l’azienda regga il colpo (perché ovviamente il calcolo va fatto su tutti i dipendenti che prendono meno di 9 euro e non su uno solo), non esiste un dubbio sull’utilità dell’introduzione del salario minimo, assegno unico o meno. Appunto però, ammesso che l’azienda regga il colpo.
E la contrattazione collettiva? Affrontiamo anche questo nodo. Perché la maggioranza di governo spinge sulla contrattazione collettiva respingendo quasi del tutto una legge netta sul salario minimo? Probabilmente perché essa, oltre che molto diffusa in Italia, è anche decisamente più graduale. Cosa vuol dire? Attraverso la contrattazione collettiva non si riuscirebbe mai a far fare un salto come quello sopra descritto agli stipendi. Si tratta appunto di una “contrattazione”, ovvero un processo in cui una parte propone una cifra e l’altra parte ne propone un’altra (più alta o più bassa, a seconda della parte), fino al raggiungimento di un equilibro che entrambe giudichino soddisfacente. Ma uno stipendio non potrebbe mai “saltare” da 704 a 1584 euro attraverso tale processo in un colpo solo. Ciò non migliorerebbe di così tanto la vita di chi ora guadagna 4 euro l’ora, ma permetterebbe al mondo imprenditoriale di assorbire molto meglio il colpo per tempi e modi, grazie ad un aumento che sarebbe decisamente più modesto. Il che scongiurerebbe (almeno in teoria) il ricorso al lavoro nero o chiusure repentine di un numero non precisato di aziende.
Insomma, da una parte si cerca di costringere gli imprenditori a pagare di più (a volte molto di più) per legge, con l’indubbio intento di migliorare significativamente la vita delle persone ma rischiando di generare scompensi non così prevedibili almeno nei numeri. Dall’altro si cerca di fare qualcosa di più orientato al procedere un passo per volta, tutelando giustamente la stabilità del mercato del lavoro, al prezzo però di non riuscire a risolvere in breve tempo il problema degli stipendi troppo bassi. Ma perché accade questo? Il motivo più facilmente individuabile è quello per il quale le paghe in Italia negli ultimi 30 anni non sono mai aumentate ed anzi si sono abbassate, tra l’altro a fronte di un enorme aumento del costo della vita. Non c’è stata una scalata verso l’alto insomma, anzi, è avvenuto il contrario. Ovviamente chi ha preso e prende buoni stipendi si è accorto della cosa ma fino ad un certo punto. Chi invece gli stipendi li aveva già bassi, cioè chi per sua sfortuna e non certo per colpa è rimasto indietro, ora è appunto così indietro che il recupero è afflitto da enormi problemi. Il lavoro povero è una piaga che in Italia è faticosissimo debellare o anche solo ridurre.
Ci sono comunque due punti d’incontro: il primo è quello di forzare la contrattazione collettiva. Ovvero regolare quei mercati in cui ancora essa non c’è ed in ogni caso stabilire attraverso di essa una paga che sia perlomeno dignitosa per tutti. Ovvero quel processo per sua natura graduale, dovrebbe questa volta esserlo un po’ meno e se non è possibile passare da 4 euro a 9, dovrebbe essere possibile passare almeno da 4 a 7 e poi a salire negli anni, per tornare all’esempio fatto poco più in alto. L’altra soluzione, di cui abbiamo già parlato, è quella di introdurre un salario minimo per legge che però non parta da 9 euro, ma da una cifra più bassa e aggiornarlo di anno in anno, o ogni due anni, fino ad arrivare ad una soglia minima legale finale stabilità all’inizio. Cioè una legge che sostanzialmente dica: “la soglia finale è 9 (ad esempio), ma si raggiungerà nel 2028 (ipotesi), però dal 2024 ogni salario non potrà essere sotto i 7 euro. Quindi 7 euro nel 2024, 8 nel 2026, 9 nel 2028. Anche questa potrebbe essere una soluzione percorribile. In un caso o nell’altro, a prescindere, andrebbe irrinunciabilmente abbinata una politica di forte contenimento dei prezzi dei beni di prima necessità, come il cibo e l’energia di qualsiasi tipo.