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Le bugie da non dire quando si cerca lavoro

In alcuni casi ci si può vendere bene anche vantando un qualcosa in più. In altri però si sfocia nella menzogna bella e buona. Quest’ultima cosa è decisamente meglio non farla.

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Quanti articoli avete aperto trovandovi come frase iniziale una cosa come “Cercare lavoro ormai è diventato un lavoro?” Ecco, anche questo potrebbe cominciare così e, più o meno, lo ha fatto. Lavorare (e quindi anche cercare lavoro) richiede delle abilità, delle competenze e anche una certa dose di furbizia. Bisogna sapersi vendere molto bene, presentando se stessi come la candidata o il candidato migliore per quello specifico posto. Tra il fare questo e il mentire più o meno spudoratamente c’è però una bella differenza. Esiste una linea da non superare mai, cosa non sempre facile visto che un simile confine varia anche di molto in base all’argomento. Dire bugie durante una ricerca di lavoro è quasi sempre sconveniente, controproducente, a volte un mezzo suicidio professionale. Ma non tutto quello che è falso, è proprio falso. La frase è criptica, ora però cercheremo di spiegarla un po’ meglio.cercare lavoro

Ad un colloquio di lavoro, in un curriculum o in una lettera di presentazione è bene dosare sempre molto, molto bene parole ed espressioni. Se anche non si volesse considerare il problema etico legato al raccontare cose false per farsi vedere più preparati e competenti di quel che si è, è evidente che una “balla” può sempre essere scoperta, e poco può importare se essa viene raccontata bene o male. Come detto però, esiste un confine tra la menzogna vera e propria e fare un buon marketing di se stessi senza ingannare nessuno.

Quando dire sempre l’esatta verità 

Ma su cosa è meglio essere decisamente precisi a costo di scoprire un lato relativamente debole (o che comunque viene considerato tale)? A costo di risultare banali, non si può non dire una frase che di per sé potrebbe anche fare un po’ ridere: “bisogna essere precisi sulle cose precise”. Se avete 52 anni e scrivete sul curriculum che ne avete 37, anche doveste arrivare a colloquio, non otterreste nulla, se non un annullamento dello stesso, magari anche con un certo fastidio per aver fatto perdere tempo al recruiter. Se è vero che l’età non dovrebbe essere discriminante, un’azienda ha però il diritto di scegliere un range d’età quando assume, non la si può criticare per questo. Se siete fuori da quel range, quell’annuncio non fa per voi. Non cambierete una decisione aziendale con un buon colloquio. E, il vostro, non sarà un buon colloquio, visto che siete partiti con una menzogna. L’atteggiamento è comprensibile, soprattutto se si cerca lavoro da molto tempo e se ne ha un disperato bisogno, ma è comunque sbagliato e soprattutto controproducente.

Il ragionamento vale nello stesso modo per le competenze: se è richiesto “inglese fluente” e quando vi dicono “hello” rispondete “kitty” (citando una simpatica battuta presa dal web), l’insuccesso sarà assicurato. Sapere l’inglese è ormai praticamente irrinunciabile nel mondo del lavoro, ma non è un obbligo di legge. Lo si può anche non conoscere, l’importante è non sostenere il contrario per poi arrivare (quando va bene) al colloquio di lavoro e fare una pessima figura. Per le competenze informatiche vale il medesimo discorso. Se nell’offerta di lavoro viene specificata la necessità che il candidato abbia una buona conoscenza di uno o più programmi (chessò, di disegno, gestionali, statistici e via dicendo), vantare di conoscerli mentendo è quanto di più sbagliato si possa fare. Verrete messi alla prova e (quindi) verrete scartati. E’ una perdita di tempo sia per voi che per chi assume.cercare lavoro

Quando potersela giocare, senza mentire spudoratamente

Molto di quello che si scrive in un curriculum, in una lettera di presentazione, o si dice ad un colloquio non è caratterizzato dalla medesima precisione che vale invece per competenze dati anagrafici, formazione, etc… Questo per li semplice fatto che, fondamentalmente, non si sta parlando di meri dati. Avere un’età od un’altra, avere raggiunto o meno una laurea, conoscere o meno una lingua è una cosa, descrivere la propria esperienza lavorativa è tutt’altra. Ed è qui che si può, anche se non sempre, giocarsela sapientemente senza scadere nella pura menzogna. L’esperienza di lavoro è solitamente misurata in anni e questo può essere un grosso problema da gestire.

Soprattutto in un paese come l’Italia, fatto perlopiù da aziende piccole e medie, dove il lavoro è sempre molto diversificato e si tende per necessità a cavarsela nel migliore dei modi, gli anni di esperienza possono contare fino ad un certo punto. Spieghiamoci un po’ meglio: non è per niente detto che un lavoratore con 5 anni di esperienza nella stessa mansione, sia più competente di un altro che, avendo ricoperto il medesimo ruolo, di anni nello stesso può vantarne solo 2, o magari anche meno. Spesso, ovviamente, è così, ma prendiamo il caso in cui il primo lavoratore è impiegato in una grande azienda con ruoli e mansioni ben definite e suddivise per contratto, mentre il secondo, occupato in una realtà di piccole dimensioni svolge sì lo stesso lavoro del primo, ma con una serie di compiti in più, correlati alla mansione stessa.

Solitamente, quando nella grande realtà aziendale si verifica un inconveniente, che sia di natura tecnica o meno poco importa, vi è almeno un addetto, appositamente assunto e formato per risolvere quel tipo di inconveniente. Ciò significa che il primo lavoratore, può anche svolgere perfettamente il suo ruolo, ma difficilmente andrà oltre. A volte saprebbe farlo e magari vorrebbe pure perché è, per così dire, uno che ci tiene, ma non può, in quanto esula dalle sue mansioni. Non deve insomma cimentarsi in operazioni come quelle che potrebbero essere la riparazione di una macchina per produrre ad esempio. E con “non deve” intendiamo proprio dire che gli è vietato dall’azienda. Ci sarà, in questo caso, un meccanico apposito.
In un’azienda più piccola dove tutti sono abituati per forza di cose a fare tutto o quasi, le situazioni che si possono verificare sono completamente diverse. Economicamente parlando perdere una commessa o anche ritardare la consegna, per una Pmi è molto più grave che per una grossa Srl o una Spa.

La concorrenza nel mercato dei piccoli è molto più alta (ci sono molte più aziende) e molto più spietata. Non rispettare i tempi può voler dire perdere il cliente, soldi, in alcuni casi anche posti di lavoro. E’ da qui che nasce l’esigenza che i dipendenti siano capaci di fare un po’ tutto e magari anche alla svelta. Due anni di esperienza di questo tipo (nel caso di prima saper aggiustare la macchina rotta in quattro e quattr’otto), non sono equiparabili a 5 in un’azienda in cui, quando la suddetta macchina si rompe, ci si ferma e si aspetta la fine della riparazione, o comunque si passa a fare altro.

Per esprimere meglio il concetto possiamo tirare in ballo gli autisti professionali, di cui abbiamo già parlato un paio di volte. In questo caso, la discriminante non è la grandezza dell’azienda ma il tipo di lavoro. Prendere il camion assegnato già carico dal deposito di Milano (sempre lo stesso), portarlo al deposito di Roma (dove lo scaricheranno e lo ricaricheranno) e tornare indietro (anche magari facendo una o due tappe intermedie) non è uguale che lavorare, ad esempio, nella grande distribuzione, dove si possono fare anche 20-30 consegne al giorno, magari in posti molto stretti e dove può essere necessaria la licenza per utilizzare i carrelli elevatori o altri attestati similari.

Chi svolge il lavoro descritto per secondo, difficilmente avrà problemi , nel caso dovesse trovare un posto in cui viene richiesto di viaggiare da deposito a deposito e piazzarsi in ribalta. Questo perché il secondo è un mestiere molto più complicato, che richiede competenze diversificate, molta elasticità, e capacità organizzativa. Il contrario invece, potrebbe essere molto più problematico (anche se non è detto, visto che ovviamente dipende molto dalle capacità personali e dalla disponibilità di ognuno), nonostante gli anni di esperienza possano numericamente essere molto diversi (ad esempio 10 anni per il primo caso, 3 per il secondo).

Queste differenze è necessario specificarle fin dal curriculum, schematicamente, e più approfonditamente nella lettera di presentazione, per poi andare ancora più a fondo in un eventuale colloquio (se richiesto). Se è vero che le aziende, a volte sbagliando, misurano l’esperienza in anni, è anche vero che un buon recruiter sa riconoscere un buon lavoratore andando oltre i dati duri e puri. Dovete però comunicarglielo, altrimenti non lo potrà sapere. Per lui quindi, sarete semplicemente un candidato con un numero insufficiente di anni di esperienza. Scrivere ciò che si è fatto realmente, facendo presente di avere un’esperienza maggiore di quella, per così dire, standard , non significa mentire, ma fare un buon marketing di se stessi, paragonandosi a persone formalmente più esperte, ma verso le quali non avete nulla da invidiare. Ovviamente bisogna comunque pensare che, raggiunto il colloquio e una volta assunti, tutto ciò che avete detto verrà messo alla prova, quindi se avete mentito anche sull’esperienza, verrete quasi sicuramente scoperti, con tutte le conseguenze del caso.

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