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Mancano lavoratori, ma alcuni li possiamo trovare

In Italia mancano così tanti lavoratori che le aziende ne cercano due ma ne trovano uno solo.

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Un recente studio di Confartigianato ha messo in luce come in Italia si faccia veramente molta fatica a trovare lavoratori, sostanzialmente in tutti i campi, da quelli più tradizionali a quelli hi-tech. La media è praticamente di un lavoratore su due, o quasi, per la precisione le aziende faticano molto a trovare il 47,9% dei lavoratori a loro necessari. Questo vuol dire che l’offerta di lavoro richiede quasi il doppio dei lavoratori che trova. Il dato più incredibile è quello che riguarda la mancanza di addetti nei settori della carpenteria metallica e delle costruzioni, nei quali sarebbe praticamente il 70% ad essere di difficile reperimento. Un altro dato preoccupante è invece quello dell’aumento di questa mancanza rispetto all’anno passato. A luglio 2022 era infatti del 40,9% mentre appunto adesso è quasi del 48%.

Ma quali sono le ragioni di questi numeri così alti? Qui a dire il vero le opinioni si sprecano ed a volte hanno anche origini politiche. In ogni caso c’è chi pensa che il problema sia che i giovani non abbiano più voglia di fare certi lavori (quelli meno tecnologici) e chi pensa che gli stipendi siano troppo bassi. Chi pensa che le scuole non formino abbastanza e chi crede esista un grosso problema di incontro tra domanda e offerta. C’è da dire che alcuni imprenditori hanno fatto presente che soprattutto i più giovani si presenterebbero ai colloqui con i genitori ed addirittura sarebbero questi ultimi a fare le domande. Ma a parte questo tutti i problemi di cui sopra almeno in parte esistono, però non vanno visti come separati, bensì facenti parte di una catena negativa che si autoriproduce.

Se può in alcuni casi essere vero che i più giovani non abbiano troppa voglia di dedicarsi a lavori tradizionali, va detto che questo avviene anche perché negli anni si è parzialmente persa la cultura del lavoro, a causa di politiche sbagliate e sfruttamenti vari. Infatti un altro nodo da chiarire è quello dello stipendio. Facendo un esempio, un ragazzo di 25 anni che lavora ma guadagna così poco da non potersi permettere un progetto di vita, probabilmente non sarà troppo intenzionato a faticare e vivrà il lavoro come una mera cosa da fare per sopravvivere. Niente passione, niente impegno, niente dedizione insomma. E’ pur vero che non è che si possano dare stipendi d’oro a chi ha appena cominciato a lavorare, però essi devono essere almeno in grado di garantire un futuro dignitoso sia dal punto di vista economico che da quello della stabilità, altrimenti è chiaro che lo scoraggiamento e quindi una certa indifferenza unita alla mancanza d’impegno potrebbe prendere il sopravvento.

Chiarito questo punto, che è molto importante, passiamo ad un aspetto più tecnico. E’ vero che le scuole non formano abbastanza? La risposta breve è no. Nel senso che da alcuni istituti si esce con una preparazione molto tecnica, da altri si esce con un bagaglio più teorico, ma più votato all’apertura mentale. La scelta della scuola quando si è molto giovani è sempre stata un punto molto difficoltoso per i futuri studenti che si trovano in età anche molto acerba a dover progettare almeno un pezzo del loro avvenire. Decidere a 13 anni cosa si vorrà fare a 18 è evidentemente complicatissimo. Oltretutto non sapendo quali saranno i cambiamenti negli anni a venire. Ogni scuola probabilmente va più o meno bene a seconda di quel che si sceglie dopo, certo è che se si decide di cambiare indirizzo passando da un istituto tecnico ad un lavoro umanistico (o il contrario), ovviamente la difficoltà aumenta proporzionalmente. Detto questo, è però vero che si possono prevedere programmi scolastici ancora più centrati sulle competenze utili ad entrare nel mondo del lavoro. Un miglioramento è sempre possibile in ogni ambito.

Ma allora esiste il mancato incontro tra domanda e offerta? E se sì perché è così forte? Indubbiamente il fenomeno esiste ed è anche molto rilevante, ma viene difficile dare la colpa alla scuola in sé stessa. E’ più probabile invece che ci siano troppe poche scuole che insegnano le competenze che servono di più nel mondo del lavoro attuale. Spieghiamoci meglio: un conto è dire “i programmi scolastici non vanno bene”, un altro è dire che è i tipi di scuole esistenti corrispondono quantitativamente troppo poco alle esigenze del mondo del lavoro. Anche ammettendo al veridicità del fatto che le scuole non formino abbastanza (cosa tutta da dimostrare, anche questa è infatti una vecchia polemica), la seconda ipotesi è più probabile della prima, ma a dirla tutta non sarebbe colpa di nessuno. Semplicemente gli studenti scelgono determinati percorsi e le scuole si orientano su questi ultimi. Se poi alcuni di essi non prevendono grandi sbocchi lavorativi, questo è evidentemente un altro problema. Il mondo del lavoro non si adatterà certo ai percorsi scolastici, ma nemmeno le scuole possono offrire indirizzi non particolarmente graditi agli studenti, perché questi ultimi sarebbero troppo pochi. Per migliorare questo match, bisognerebbe essere in grado di prevedere le tendenze future con molto anticipo, ma anche questa è un’operazione complicata a causa delle velocità dei cambiamenti che è sempre più repentina. Per fare un esempio possiamo pensare all’intelligenza artificiale: alcune cose non riuscirà mai a farle, ma altre sì e prevedere da qui a 5 anni come e su cosa sarà in grado di operare è a dir poco azzardato. Quindi anche istituire e ad esempio nei programmi scolastici corsi di studi a tema è sicuramente una cosa molto complessa.

C’è poi da dire che per lo stesso motivo, quello della velocità dei cambiamenti, il mancato incontro tra domanda e offerta avviene anche per le competenze di alcuni tipi di lavoratori che diventano vecchie troppo presto. Una volta il mondo era più lento ed era molto più facile prevedere dove andasse a parare il il lavoro. Ora è una continua rincorsa e non sempre si riesce ad aggiornarsi con la dovuta rapidità. Inoltre alcuni lavoratori sono per così dire poco convertibili. Certi mestieri potrebbero addirittura scomparire e spostare quel tipo di addetti ad altre mansioni non è un’operazione particolarmente semplice.

Qui però nasce un nuovo capitolo della storia: siamo così sicuri che le aziende i lavoratori li cerchino ovunque possano cercarli? Spieghiamoci: quante imprese sarebbero disposte ad assumere 50 o 60enni riconvertiti dopo corsi di formazione appositi? Quante aziende sarebbero disposte a fare loro formazione specifica nonostante l’età e poi assumere queste persone in pianta stabile? Ecco, per capire la situazione bisogna anche farsi queste domande. Così come esiste chi non ha voglia di lavorare, esiste anche chi questa voglia ce l’ha a qualunque età ma non riesce ad avere la possibilità di dimostrarlo.

Puntare sui giovani è giusto, ma puntare solo su di loro no. C’è da dire che in un numero non trascurabile di casi, il fenomeno dei lavoratori maturi che hanno voglia di fare è stato capito ed è anche stato ben utilizzato, inserendo persone in età anche molto adulta in contesti aziendali molto performanti. Ma sono situazioni che sono ancora un po’ quantitativamente troppo limitate. Ci sono troppe remore sul lavoro maturo, a causa dell’essersi concentrati per troppo tempo solo su politiche iper-giovanilistiche che hanno portato anche i 40enni a venire esclusi dal mondo del lavoro, creando un paradosso per il quale nel pieno della loro età lavorativa, con competenze ed esperienza ultradecennali, sono stati considerati troppo vecchi per essere assunti.

Ecco, parte dei lavoratori che mancano potrebbero essere cercati anche in questo mondo, spesso un po’ troppo oscuro non certo per colpa sua, dove si muovono decine di migliaia di potenziali lavoratori competenti ed esperti che però rimangono appunto potenziali semplicemente a causa della loro età. Risolvessimo questo problema, avremmo sicuramente una minore carenza di addetti nella maggior parte dei settori in cui essi mancano. Che ne dite?

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