Si parla tanto di disoccupazione giovanile, ma anche la disoccupazione adulta è importante. Anzi forse addirittura di più.
Cerchiamo di capirci subito. Nessuno vuole sostenere che la disoccupazione adulta sia più importante di quella giovanile, o di quella femminile, o ancora della fuga di cervelli o del problema esodati, giusto per citare alcune delle questioni che affliggono il mercato del lavoro italiano. E’ però impossibile non notare come sia a livello nazionale che europeo esista una fondamentale iniziativa chiamata Garanzia Giovani, non affiancata però da una “Garanzia Adulti”. E subito, viene da chiedersi il motivo dell’assenza di una tale politica strutturale. E’ pur vero che sia l’Italia che l’Ue cercano da sempre di combattere la disoccupazione ad ogni livello, ma la mancanza di lavoro in età adulta è un problema così complesso che richiede interventi straordinariamente specifici. Per fare un esempio, un over 40 disoccupato nella maggior parte dei casi avrà una situazione familiare differente da un over 50 nella medesima condizione.
Ma partiamo dall’inizio: chi è l’adulto? Quando si parla di disoccupazione adulta, si parla ormai anche di over 30, oltre che di over 40, over 50 e anche over 55 (e quindi perché non over 60?). A che età inizia la disoccupazione adulta? Un over 30 è un adulto? Oppure lo è anche un 30enne “secco” perché l’apprendistato si ferma all’età di 29? L’Istat, prima fonte di riferimento per i dati statistici in Italia, considera normalmente “giovane” un soggetto avente età inferiore a 35 anni. Ma cosa cambia da 34 a 35, si chiederà qualcuno. Nulla, solo che una categoria statistica un confine lo deve avere per forza. Ed infatti il problema non è la categoria, ma come vengono considerati quelli che stanno al di fuori di essa, vale a dire gli “adulti”. A ben vedere, nemmeno si capisce perché un “giovane” tra i 30 ed i 34 non possa avere un contratto di apprendistato. E’ come se fosse giovane anche lui, ma un po’ meno. E però, non è (ancora) nemmeno un adulto secondo la categoria statistica di cui sopra.
Sembra di capire quindi, che la disoccupazione adulta riguardi tutti i soggetti senza lavoro (e che lo cercano attivamente) con età dai 35 in su. Ma le esigenze, o per meglio dire l’intera vita di un 35enne, è certamente differente da quella di un over 50, vale a dire una persona che può avere anche 60 anni. Perché allora non creare politiche strutturali ad hoc, distinte ad esempio per over 35, over 45, over 55? E per politiche non s’intende solo l’erogazione d’incentivi statali, o comunque pubblici anche livello più locale che, va detto, in molti casi esistono, ma, ad esempio, un sostegno al reddito concreto da elargire a chi non ha più una famiglia d’origine in grado di garantirgli almeno la sussistenza. O, caso ancora più complicato, a chi si trova nella situazione di dover “ricambiare” la dedizione di una vita dei suoi genitori, ora che questi ultimi hanno bisogno. E ancora, iniziative di formazione e conseguente ricollocamento mirate, sulle competenze pregresse di ognuno, ma anche sulla sua età. Perché un 55enne, anche nello stesso campo, avrà conoscenze differenti rispetto ad uno che di anni ne ha 10 o 20 in meno. Nel tempo, cambiano le tecnologie, ma anche i metodi d’insegnamento, cambia addirittura il modo in cui si vive, oltre che il mondo stesso. Tutto questo, nel progettare iniziative di formazione, va considerato.
Si potrebbe poi pensare anche a progetti di più ampio respiro, atti ad instaurare, in un determinato lasso di tempo, un vero e proprio cambiamento culturale. Non sono infatti ancora molti gli imprenditori (o i loro delegati) che capiscono, o più banalmente si accorgono della straordinaria importanza dell’esperienza di un lavoratore adulto. E c’è di più: questa persona avrà anche probabilmente una gran voglia di lavorare. Non avere un impiego infatti non ha conseguenze solo sull’economia familiare, ma anche sulla realizzazione personale. Conoscere un mestiere, ma non avere la possibilità di svolgerlo, dopo che quello stesso mestiere lo si è fatto magari per 20-30 anni, può essere atroce.
E a ciò si aggiunge l’impossibilità o quasi di reinventarsi in un altro campo, se non contando solo sulle proprie forze e, soprattutto, sulle proprie finanze. Spiegare a chi assume che sì, la fantasia, l’intuito e le conoscenze di nuova generazione di un giovane sono irrinunciabili per un’azienda che punti a fare utili e svilupparsi, ma che altrettanto si può dire almeno per l’esperienza e la visione d’insieme del lavoro in possesso di chi ha già lavorato per un certo numero di anni, può essere anch’essa una buona via per limitare, negli anni, il problema della disoccupazione adulta.
Statisticamente parlando, se un 20enne o 25enne un lavoro non lo trova, è brutto da dire, ma una famiglia, se è quello il suo scopo, fa a tempo a non farsela (purtroppo), almeno fino a quando, presto o tardi, riesce a sistemarsi. Per una persona che invece la famiglia ce l’ha già ed il lavoro lo ha perso, non c’è scampo. Se non può mantenerla, o non può contribuire a farlo assieme al coniuge, gli effetti psicologici di una simile condizione possono essere devastanti, con conseguenti ulteriori effetti nefasti anche sull’efficacia della ricerca di un nuovo lavoro, nonché sulla sicurezza e sulla determinazione in caso di chiamate a colloqui. Già perché, tu, caro adulto anche 55enne, potresti essere il candidato ideale per quell’azienda che ti ha chiamato per una “job interview”, come dicono quelli bravi, ma se non riesci a spiegarglielo che sei tu il migliore per quel posto vacante, prenderanno qualcuno di meno adatto, ma con una capacità di vendersi maggiore della tua. E quella capacità, dipende senza dubbio da caratteristiche personali e da mille altre cose, ma anche da uno stato mentale che, se “proveniente” da una situazione di difficoltà prolungata non può essere certo quello ottimale per dimostrare ad un perfetto sconosciuto il proprio valore.
Con questo non si vuol dire che la disoccupazione adulta sia più importante di quella giovanile, o di un’altra, perché non c’è qualcuno che ha meno diritto ad avere un lavoro di qualcun altro. La disoccupazione adulta è però più importante della mera categoria sociale, se così la si può chiamare, “dai 35 in su”. Per una politica del lavoro davvero efficace, appare ormai imprescindibile distinguere le varie esigenze dei soggetti in disoccupazione, diverse a seconda dell’età, così come dovrebbero esserlo le attività a sostegno dei soggetti stessi. A volte, ripetiamo, lo sono.
Si tratta di provvedimenti certamente utili, che però rimangono limitati nella portata e nel tempo, mentre ad esempio la Youth Guarantee dell’Ue, giustamente, si basa su un periodo di 6 anni, così come la “nostra” Garanzia Giovani, altrettanto giustamente. E’ quindi auspicabile che vengano al più presto approntati strumenti analoghi, appositamente pensati esclusivamente per la lotta all’odioso fenomeno della disoccupazione adulta.
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