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Quando la fretta mette a rischio il lavoro

Il lavoratore modello non è colui che non si ferma mai, ma chi fa le cose per bene e presta la dovuta attenzione a chi gli sta accanto

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Vi ricordate del Bianconiglio di “Alice nel paese delle meraviglie”? Quello che, con tanto di panciotto ed orologio, andava incespicando sulle zampette dicendo a tutti di avere “troppa, troppissima fretta”? Alcuni lavoratori sono come lui: corrono di qua e di là, non si fermano mai, si agitano in continuazione e parlano a stento con le persone. Perché lo fanno? Perché hanno la perenne sensazione di non avere tempo a sufficienza per fare quello che devono. E pensano che, andando di corsa, possano recuperare momenti preziosi. Ma è davvero così? Non proprio. La fretta può essere una cattiva consigliera e può mettere a repentaglio il rapporto coi colleghi. Va bene darsi da fare e non bighellonare, ma sottoporsi a ritmi frenetici può diventare sfiancante e controproducente. Per sé e per gli altri.

Cosa fanno i frenetici di professione

Pensateci un attimo: chi va sempre di corsa e lascia che la fretta scandisca le sue giornate, non si rilassa mai. Men che meno al lavoro dove pensa che concedersi un momento di pausa equivalga a rubare lo stipendio. Ma spesso è esattamente il contrario: il lavoratore apparentemente indefesso, che non si ferma mai, può fare più danni che altro. Non prendendosi il tempo necessario a valutare le cose con calma, finisce spesso per fare la scelta sbagliata e per complicare il rapporto coi suoi collaboratori. Ad occuparsi dell’argomento è stato il Wall Street Journal, che ha dedicato un approfondimento ai cosiddetti “rushers”: coloro che vanno sempre di corsa. Secondo il quotidiano newyorkese, i frenetici di professione tendono a:

  • interrompere le persone mentre parlano;
  • distogliere spesso lo sguardo dalle persone con cui stanno interagendo per rivolgerlo ai dispositivi con cui lavorano:
  • far salire lo stress e l’ansia in ufficio perché sottolineano continuamente di avere fretta;
  • far sentire gli altri insicuri e inopportuni. Chi li osserva tende a mettere in discussione il proprio valore perché constata di non essere oberato di lavoro come loro.

E c’è di più: avere a che fare con un lavoratore ossessionato dalla fretta significa spesso inseguirlo nei corridoi, ad un ritmo più che sostenuto. O correre il rischio di essere messo ripetutamente in “stand by” perché qualcosa di più urgente ha richiesto il suo tempestivo intervento.

Lavorare con un “rusher” non è per niente facile ed i suoi atteggiamenti “liquidatori” (riesce sempre a farti sentire in colpa per il tempo che gli stai rubando) possono guastare seriamente le dinamiche di lavoro. Ma cerchiamo di non essere troppo severi: i frenetici per natura non sono cattivi né necessariamente ineducati. Sono solo logorati dall’ossessione di dover produrre il più possibile nel minor arco di tempo. E non si rendono conto che, spesso, la loro frenesia finisce per mettere a repentaglio il buon esito del loro lavoro e di quello degli altri. Come venirne fuori? Parlarne con il capo può essere una buona soluzione.

Cosa fare per correre ai ripari

Bisogna, innanzitutto, mettere in chiaro che il lavoratore modello non è colui che porta a termine il maggior numero di incarichi (perché non si ferma mai), ma colui che cura ogni dettaglio e si prende i tempi necessari per fare tutto per bene. Non solo: occorre ricordarsi che al lavoro non si è soli e che le nostre malsane abitudini possono impattare negativamente sulle prestazioni degli altri.

Chi accetta di lavorare in gruppo deve pattuire delle condizioni ed accordarsi sui ritmi di lavoro e sui tempi di consegna. Perché se è vero che bisogna porre degli argini ai “rushers”, è altrettanto vero che occorre farlo coi “perditempo”. Bisogna poi rivedere i propri comportamenti: una persona stressata, che si muove convulsamente e sbuffa in continuazione, mette in agitazione anche gli altri. Perché aziona i “neuroni specchio” che li portano ad emulare quello che osservano.

Senza parlare della necessità di dedicare la giusta attenzione a chi ci parla e collabora con noi: non possiamo sempre caricarli di ansia né tanto meno pretendere che si allineino ai nostri ritmi indiavolati. Tutto qui? Non proprio: occorre inoltre mettersi in testa che non si può fare tutto. E che, mai come al lavoro, è fondamentale stabilire delle priorità e distinguere ciò che è urgente da ciò che non lo è. Essere sempre di corsa e lasciarsi tarlare dalla fretta non fa bene. E spesso non dipende da una stretta necessità, ma solo da una cattiva abitudine: impegniamoci a correggerla.

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