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Come sviluppare il senso di appartenenza all’azienda: alcune considerazioni

A vincere sono le aziende che coltivano la cultura della collaborazione e che imparano a coinvolgere i dipendenti e a farli sentire importanti. Vediamo come si fa

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Ci è capitato di leggere un articolo pubblicato sul blog di Trello – la piattaforma utilizzata da molti professionisti per gestire e organizzare meglio il loro lavoro – in cui veniva evidenziata la frequenza con cui alcune persone, a cui viene esplicitamente chiesto dai colleghi di dare loro una mano, tendono a negargliela. Secondo Janet Mesh, autrice dell’articolo, si tratta di un comportamento che può porre dei limiti alla carriera dei singoli dipendenti e che, a lungo andare, può compromettere seriamente la crescita dell’azienda.

Ma perché i lavoratori si ritrovano sempre più spesso a pronunciare frasi del tipo: “Non è compito mio” o “Non è un lavoro che mi compete”? La spiegazione più ovvia è che lo facciano perché non hanno sviluppato un forte senso di appartenenza all’azienda. Ma non è sempre così e la questione merita – a nostro avviso – di essere indagata con più attenzione.

Perché diciamo no ai colleghi che ci chiedono una mano

Le dinamiche tra colleghi non sono sempre facili da gestire e, nella giornate più impegnative, può capitare a chiunque di perdere la pazienza o il senso della misura. Non c’è da farne un dramma, a meno che non si tratti di un comportamento abituale, che ci porta a mandare sistematicamente a quel paese i colleghi che bussano alla nostra porta per avere un consiglio o per chiedere aiuto. Sia ben chiaro: nessuno sostiene qui che occorre sempre fare il “crocerossino” di turno e sospendere il proprio lavoro per agevolare quello del collega in difficoltà (dire no è, anzi, un diritto che a volte dobbiamo rivendicare con forza), ma se abbiamo notato che ogni volta che qualcuno ci invia un messaggio di S.O.S. rimaniamo del tutto insensibili, allora è probabile che qualcosa non vada per il verso giusto. Cerchiamo di analizzare più attentamente la situazione:

  • a farci dire di no al collega che non sa cavarsela da solo potrebbe essere semplicemente il fatto che siamo oberati di lavoro e che, riuscendo a stento a rispettare le nostre scadenze, scegliamo di non renderci disponibili nei confronti degli altri. In pratica, in questo secondo caso, non si tratterebbe di una mancanza di coinvolgimento o di una chiara manifestazione di insensibilità nei confronti di chi ci confessa di essere andato in tilt, ma di una forma di autodifesa che ci porta ad anteporre il nostro lavoro e le nostre responsabilità a quelle dei colleghi. Oppure…
  • a farci rispondere bruscamente: “Non è un problema mio” al collega che viene a chiederci una mano potrebbe essere il fatto che non ci sentiamo sufficientemente legati all’azienda. E non proviamo un reale interesse né per i progetti che seguiamo personalmente né per quelli che devono portare a termine i colleghi. In pratica, concepiamo il nostro lavoro come una monotona routine ed escludiamo categoricamente l’ipotesi che si possa fare qualcosa che esuli dalle mansioni ordinarie o che ci porti addirittura a farci carico delle responsabilità altrui.

In entrambi i casi, il management farebbe bene a non abbassare la guardia e a valutare, con una certa prontezza, il da farsi.

Cosa si può fare per far crescere il senso di appartenenza all’azienda

Concentriamoci sul secondo caso, quello che denota uno scarso senso di appartenenza all’azienda. Succede solitamente negli ambienti di lavoro in cui la dirigenza non si preoccupa di costruire una cultura della collaborazione e in cui nessuno sa, con esattezza, cosa fa il vicino di scrivania. La mancanza di comunicazione tra i vari dipartimenti e la mancata condivisione di un disegno comune pone degli ostacoli ingombranti al coinvolgimento dei dipendenti, che si limitano a fare quello che sono chiamati a fare e non si lanciano in interazioni che potrebbero fare la loro e l’altrui fortuna professionale. Si tratta di un quadro che dovrebbe allarmare i dirigenti, ai quali consigliamo di:

  • valorizzare le risorse a propria disposizione, tenendo conto delle loro potenzialità e delle loro aspirazioni. Chiedere l’opinione dei dipendenti, coinvolgerli (quando possibile) nei processi decisionali e affidarsi ai loro suggerimenti sono tutte buone pratiche che, con le giuste cautele, possono far sviluppare un forte senso di appartenenza nei lavoratori. Ne tengano conto quei dirigenti che si limitano a dare ordini e che, coi loro atteggiamenti dispotici, spingono i sottoposti a disinteressarsi o disinnamorarsi completamente di quello che fanno.
  • migliorare la comunicazione interna e informare tutti sulle decisioni che contano. Soltanto se avranno chiara in testa qual è la visione della dirigenza e come spera di centrare gli obiettivi che si è prefissata, i dipendenti potranno sviluppare un maggior senso di appartenenza all’azienda. Un management che si rispetti deve favorire il coordinamento tra i vari dipartimenti ed evitare che essi lavorino per “compartimenti stagni”, nella generale inconsapevolezza. Per sentirsi parte integrante di una squadra, occorre conoscere i ruoli degli altri giocatori e comprendere (e possibilmente condividere) lo schema messo a punto dall’allenatore.

Sviluppare il senso di appartenenza all’azienda può fare la differenza

Sviluppare un forte senso di appartenenza all’azienda può fare la differenza, sia in termini di benessere personale (un dipendente che si sente utile e percepisce di essere direttamente coinvolto nel progetto aziendale rinforza la sua autostima), sia in termini di crescita dell’impresa (le risorse motivate tendono sempre a dare il meglio di sé ed affrontano con entusiasmo anche le sfide più complicate).

Lo hanno capito bene alla Facebook dove tutti sanno che non esistono problemi che riguardano soltanto gli altri (Nothing at Facebook is Somebody Else’s Problem) o alla Hubspot dove viene professata l’importanza dell’umiltà. “Ogni singola persona ha il dovere di risolvere un qualsiasi problema che riguarda l’azienda o i clienti – ha spiegato la responsabile del Personale, Katie Burke – Il che vuol dire che, a prescindere dal ruolo o dalla qualifica che ha, nessuno può permettersi di considerare certi compiti troppo semplici o svilenti”. Il senso di appartenenza, che può fare la fortuna di un’azienda, si sviluppa con la ferma volontà di fare squadra e di affrontare le avversità, in maniera coordinata e compatta.

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